Coronavirus in rapida crescita in Italia: cosa sta succedendo, l’analisi
Abbiamo chiesto a Fabrizio Pregliasco, virologo e Direttore Sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano, che cosa sta succedendo in Italia.
«La situazione epidemiologica attuale era assolutamente attesa, considerando i giorni passati dal lockdown e quella che è stata la rilassatezza dei costumi durante l’estate. Si comincia anche in parte a vedere l’effetto dello stress-test delle scuole, anche se il dato complessivo sulla riapertura lo vedremo dalla prossima settimana. Ci sono più concause per questa crescita: è anche la conseguenza del ritorno in città, con i mezzi pubblici più affollati e una maggiore frequentazione di luoghi chiusi».
Dove ci si contagia?
«La gran parte dei casi in questo momento riguarda la trasmissione in contesto famigliare: più del 70% dei nuovi positivi sono dovuti a figli che contagiano i genitori, infatti si è alzata l’età media».
Dobbiamo preoccuparci?
«Oggi la situazione è diversa perché questi casi sono una rappresentazione diversa della realtà rispetto all’inizio. In primavera conteggiavamo e identificavamo soltanto i casi più gravi dal punto di vista clinico, ora valutiamo anche tutta quella quota di asintomatici che sono la causa del mantenimento della catena di contagio».
I positivi saliranno ancora?
«Più aumentiamo i contatti interpersonali, più la quota dei casi aumenterà. È inevitabile perché la suscettibili è ancora troppo elevata, al di là di alcune zone, come Nembro o Alzano dove è stato colpito il 40-50% delle persone. Per questo la Lombardia in alcune parti si è allineata alla crescita del resto dell’Italia. La media italiana, però, è del 2,5%, anche se a macchia di leopardo, e i focolai ci sono in tutte le province. Ci saranno valori ancora più pesanti, ma credo e spero che si riesca a mantenere un livello di gestione delle terapie intensive buono, che è il punto nodale di tutta la scommessa sul futuro».
Che cosa dobbiamo fare?
«Ho parlato di “nuovo galateo” rispetto all’utilizzo di mascherine. Abbiamo lavorato bene durante il lockdown, ma ora l’attenzione si è abbassata. La scommessa dal punto di vista sanitario è quella di implementare la capacità diagnostica rapida per quanto riguarda il contenimento della malattia da parte dei dipartimenti di prevenzione (che finora hanno lavorato bene). Il più è riuscire a contenere la crescita in modo lineare, perché oltre una certa quota scatta l’aumento esponenziale. Dobbiamo riuscire a gestire questa fase come momento di contenimento altrimenti ritorniamo alla mitigazione con il lockdown».
Quale sarà il campanello d’allarme più «squillante»?
«L’ospedalizzazione. Il numero di positivi può addirittura essere una buona notizia, nel senso che significa che il monitoraggio funziona e riusciamo a isolare chi può contagiare ancora. È lo stress sul sistema sanitario nazionale che ci deve mettere in allarme».
Siamo destinati a chiudere?
«Può essere il nostro destino: ma si tratterà di lockdown mirati e inasprimenti da fare in modo “sartoriale” e selettivo per evitare la chiusura totale».