(Laura Cuppini, in collaborazione con Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi»)
Un numero impressionante di ricercatori in tutto il mondo sta lavorando per mettere a punto un vaccino contro Sars-CoV-2. L’elenco dei «candidati» è costantemente aggiornato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): ad oggi sono 133, di cui 10 in stadio più avanzato perché hanno raggiunto la fase clinica (composta a sua volta da 3 fasi: I, II e III), volta a dimostrare efficacia e sicurezza nell’uomo. Gli altri 123 sono a livello pre-clinico: vengono testati in laboratorio, anche su animali, per valutarne le caratteristiche e decidere se procedere al passaggio su persone.
I vaccini si dividono in quattro famiglie: quelli basati su vettori virali e Vlp («virus-like-particles»); proteine ricombinanti; acidi nucleici (Dna e Rna); virus inattivati o attenuati. «Tutti i gruppi di ricerca hanno l’obiettivo di indurre anticorpi contro la proteina “spike”, la chiave con cui il virus si diffonde, quindi anticorpi che abbiano la capacità di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule umane — afferma Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi» —. Non avendo tempo per studiare in dettaglio quale sia il cosiddetto “correlato di protezione” dall’infezione, abbiamo assunto che gli anticorpi contro la “spike” prevengano l’infezione ed è probabile che sia davvero così, visto che Sars-CoV-2 induce un’infezione acuta che generalmente si risolve in poche settimane ed è un virus che muta relativamente poco. Se l’ipotesi fosse vera, ritengo che potremmo avere, con tutte le scorciatoie che ci permette l’emergenza pandemica, un vaccino disponibile per tutti a inizio 2022».
Dopo che l’epidemia di Sars-CoV-2 è stata confermata dall’Organizzazione mondiale della sanità a dicembre, in soli 6 mesi sono stati fatti grandi passi avanti. E i risultati sono incoraggianti, come nel caso del vaccino a cui sta lavorando da gennaio l’azienda statunitense Moderna. L’approccio è quello dell’iniezione di un Rna codificante per proteine del virus, Rna che — entrato nelle cellule umane — verrebbe tradotto nella proteina spike; questa dovrebbe poi indurre anticorpi neutralizzanti. Nella fase 1 sembra che il vaccino abbia avuto effetti positivi: Moderna, che collabora con l’Istituto nazionale per le malattie infettive degli Stati Uniti diretto da Anthony Fauci, ha riportato che 8 su 45 persone vaccinate non hanno avuto effetti collaterali importanti e soprattutto hanno sviluppato anticorpi anti-spike con attività neutralizzante. Fauci ha annunciato la fase 3 entro l’estate e che 200 milioni dosi potrebbero essere disponibili per gli americani dall’inizio del 2021. «Quella dei vaccini basati su acidi nucleici è una tecnica più rapida da realizzare, ma anche meno nota rispetto a quelle “classiche”, basate su proteine ricombinanti o virus uccisi — sottolinea Abrignani —: oggi non abbiamo sul mercato alcun vaccino basato su Rna o Dna. La speranza è che in questo caso il metodo possa funzionare».
Molto vicino all’avvio delle prove di efficacia, dopo che la prima sperimentazione di fase I su 510 volontari (partita ad aprile) si è conclusa positivamente, anche il vaccino in sperimentazione a Oxford, basato su vettori virali derivati da un adenovirus, in grado di codificare per la proteina “spike”: la multinazionale farmaceutica AstraZeneca ha concluso accordi per la produzione di 400 milioni di dosi di questo potenziale vaccino anti-Covid, con una (annunciata) capacità di produzione di 1 miliardo di fiale entro il 2021. La prova clinica di efficacia sarà su 5mila volontari sani in Gran Bretagna e probabilmente ne coinvolgerà altrettanti in Paesi, come il Brasile, nei quali l’incidenza di nuovi contagi è ancora alta e quindi si potrà raggiungere un numero di pazienti che dia significatività statistica allo studio. Se, a causa della diminuzione di nuovi casi, dovesse essere difficile avere dati significativi di efficacia, si sta valutando l’alternativa dello Human Challenge Trial, ossia una sperimentazione nella quale alla somministrazione del vaccino a giovani volontari sani segue l’inoculazione del virus. Su questo tema l’Oms ha pubblicato il 6 maggio un documento in cui traccia le linee guida per ricercatori, comitati etici, finanziatori e politici e fissa i «criteri chiave che dovrebbero essere soddisfatti per rendere simili studi eticamente accettabili».
Un’altra strada che si sta tentando di percorrere è quella del vaccino basato su virus inattivato: ci lavorano diversi gruppi di ricerca cinesi (tra cui la società Sinovac). Si tratta di una vecchia tecnica, conosciuta fin dagli albori della vaccinologia. Più difficile, dal punto di vista della sicurezza, la scelta di due gruppi indiani, che stanno operando su virus vivo attenuato.
Ultimo, ma solo perché partito più tardi, il progetto che nasce da un accordo tra due «big pharma», Sanofi e Gsk: l’obiettivo è produrre un vaccino contenente proteina «spike» ricombinante (prodotto da Sanofi), con un adiuvante a base di «squalene (prodotto da Gsk). Una metodologia collaudata, alla base di molti dei vaccini che conosciamo e utilizziamo. La procedura è più lunga e complessa rispetto a quella utilizzata nei vaccini a base Rna o vettori virali. Ha però dei vantaggi: è ampiamente conosciuta e offre una più alta probabilità di arrivare a prodotti efficaci e sicuri.
In Italia si stanno sviluppando due candidati vaccini nell’area di Castel Romano (Roma): uno basato su un vaccino a Dna sviluppato dall’azienda Takis e un altro basato su un vettore adenovirale dell’azienda Reithera. Lo choc per la pandemia di Sars-CoV-2 ha generato uno spirito collaborativo e di generosità senza precedenti fra Stati, aziende e centri di ricerca per la ricerca di un vaccino. Al Global Vaccine Summit di Londra l’Agenzia globale per le iniziative vaccinali (Gavi), ente sovranazionale non profit che ha l’obiettivo di diffondere le vaccinazioni nel mondo, ha raccolto fondi per più di 8 miliardi di dollari per lo sviluppo di vaccini contro Sars-CoV-2. Non solo: i Governi inglese e americano hanno già comprato diritti di prelazione su centinaia di milioni di dosi di possibili vaccini da grandi aziende, come AstraZeneca e Sanofi. I governi europei stanno seguendo la stessa linea ed è probabile che anche l’Italia si muoverà in questa direzione.