Archive for June 30, 2020

Coronavirus, cosa diffonde chi non usa la mascherina? Ecco le foto che lo dimostrano

Mentre sembra che in alcuni contesti le mascherine siano state dimenticate e si attende lunedì la decisione della Regione Lombardia sul mantenimento dell’obbligo di indossare le mascherine anche all’aperto, in scadenza il 30 giugno, una “dimostrazione” empirica (ma molto efficace) del potere filtrante delle mascherine viene sui social da Richard Davis, Direttore del laboratorio di microbiologia clinica al Providence Sacred Heart Medical Center in Spokane, Washington. Il professore ha studiato un esperimento che è diventato virale.

Cantare, tossire, starnutire

«Cosa fa una maschera – ha scritto Davis su Twitter -? Blocca le goccioline respiratorie provenienti dalla bocca e dalla gola. Due semplici dimostrazioni: in primo luogo, ho starnutito, cantato, parlato e tossito verso una piastra di coltura di agar con o senza mascherina. Le colonie di batteri mostrano dove sono atterrate le goccioline. Una mascherina le blocca praticamente tutte». La dimostrazione è riportata nella foto qui sotto. Ovviamente in questo caso si tratta di batteri che normalmente sono presenti nelle goccioline respiratorie delle persone (quelle grandi e pesanti) e non si tratta di virus SARS-CoV-2, ma si può vedere come una mascherina chirurgica blocca la maggior parte di droplets.

Sviluppato il primo modello sperimentale di protesi liquida di retina

Una protesi artificiale liquida di retina utile a contrastare in futuro gli effetti di malattie come la Retinite pigmentosa e la degenerazione maculare legata all’età che portano alla progressiva degenerazione dei fotorecettori della retina, causando cecità.

Il progetto

L’idea nasce dalla collaborazione tra i ricercatori del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova coordinato da Fabio Benfenati e un team del Center for Nano Science and Technology dell’IIT di Milano, coordinato da Guglielmo Lanzani, con la Clinica Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dalla dottoressa Grazia PertileIl team multidisciplinare vede coinvolti anche partner scientifici come l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e il CNR di Bologna. Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Nature Nanotechnology, rappresenta lo stato dell’arte nell’ambito delle protesi retiniche ed è un’evoluzione del modello di retina artificiale planare sviluppato dallo stesso team nel 2017 . Il modello di retina artificiale di “seconda generazione” è biocompatibile, ad alta risoluzione ed è costituita da una componente acquosa in cui sono sospese nanoparticelle polimeriche fotoattive realizzate ad hoc nei laboratori IIT, delle dimensioni di circa 1/100 del diametro di un capello, che prendono il posto dei fotorecettori danneggiati. La naturale stimolazione luminosa delle nanoparticelle provoca l’attivazione dei neuroni retinici risparmiati dalla degenerazione, mimando così il processo cui sono deputati i fotorecettori della retina nei soggetti sani.

«Obiettivo remissione» per vivere con una malattia reumatica come se non ci fosse

Sintomi affievoliti o addirittura spariti che consentono di svolgere più facilmente le normali attività quotidiane senza le solite difficoltà: vivere come se la malattia reumatica non ci fosse, anche se non si è guariti, non è un traguardo irraggiungibile ma una speranza concreta per gli oltre 5 milioni di italiani colpiti, anche in giovane età, da una delle 150 malattie reumatiche conosciute. Si chiama tecnicamente «remissione», una parola ancora sconosciuta ai più, come emerge da un’indagine dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici (ANMAR), che per questo motivo ha promosso la campagna di informazione «Obiettivo remissione», realizzata con il supporto di AbbVie, presentata nel corso di un incontro in diretta web, dal titolo «Malattie reumatiche sotto controllo. Il ruolo del medico e quello del paziente», organizzato da Corriere Salute. «Non tutti conoscono questa parola così importante per chi soffre di una malattia reumatologica – sottolinea Silvia Tonolo, presidente ANMAR –. Per molti significa guarigione ma non è così, altri non hanno mai sentito parlare di remissione, nemmeno nell’ambulatorio di reumatologia».

Vita normale (o quasi)

Ma cosa s’intende esattamente per «remissione» e come raggiungere l’obiettivo? Spiega Luigi Sinigaglia, presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR): «Il concetto di remissione, che si è diffuso in reumatologia con l’arrivo dei farmaci biotecnologici, potenti medicinali che permettono di contrastare alcuni fattori che generano l’infiammazione, va inteso come il tentativo che i reumatologi fanno di ridurre ai minimi termini l’attività infiammatoria della malattia, che non vuol dire azzerarla completamente ma portarla in una dimensione che consente al paziente di avere una qualità di vita migliore, a livello sociale e lavorativo, e anche di arrivare nella stragrande maggioranza dei casi a una situazione in cui il danno anatomico e strutturale, indotto dalla malattia, viene praticamente azzerato nel tempo. In altre parole nel paziente in remissione clinica si riducono ai minimi termini il dolore, le tumefazioni articolari, l’impotenza funzionale legata alla presenza di queste malattie».

Coronavirus: Guerra (Oms), «È come la Spagnola, tornerà in autunno»

L’epidemia di Covid-19 «si sta comportando come avevamo ipotizzato» e «il paragone è con Spagnola che si comportò esattamente come il Covid: andò giù in estate e riprese ferocemente a settembre e ottobre, facendo 50 milioni di morti durante la seconda ondata, che fu peggiore della prima», lo ha detto Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) durante la trasmissione Agorà su Rai 3, rispondendo in merito alla lettera di esperti che hanno parlato di «emergenza finita».

Sembra finito ma non è così

Guerra ha continuato senza negare che il virus attualmente sia «sparito dalla clinica», ma ha aggiunto che anche se «sembra tutto finito, non è così. Guardo i fatti e i fatti dicono che il genoma del virus è ancora lo stesso e che l’andamento di una epidemia come questa è ampiamente previsto e prevedibile. C’è una discesa che coincide con l’estate. Le precauzioni che stiamo prendendo hanno l’obiettivo di circoscrivere la circolazione del virus quando questa riprenderà», ha concluso.

La Cleveland Clinic e la sanità che (tanto) vorremmo

La Cleveland Clinic è un centro medico universitario americano con sede a Cleveland, Ohio, dove gestisce un campus di quasi 70 ettari. Di proprietà e gestito dalla Cleveland Clinic Foundation, una società no profit fondata nel 1921, ha ospedali in tutti gli Stati Uniti ad Abu Dhabi, a Toronto, e nel 2021 anche a Londra. È classificata come uno dei migliori ospedali del mondo. Dal loro sito https://my.clevelandclinic.org/ si possono prendere appuntamenti, per l’assistenza sanitaria «online».

Anche in Italia abbiamo le basi per seguire questo esempio

Selezionando la voce «Contatti»si possono scegliere quattro opzioni: voglio parlare subito con un medico per una visita virtuale, voglio rivedere i miei dati sanitari, voglio un parere di uno specialista sul mio caso che è seguito da altri medici, vorrei una visita di controllo con il mio medico, programmata, ma virtuale. Questo modello di assistenza non nasce in epoca COVID-19 ma è da anni il modello di servizio delle Cleveland clinic e rappresenta il modello della salute e delle cure digitali erogabili da una grande struttura ospedaliera. Si basa sui dati personali, la rete e la possibilità di avere servizi direttamente online. Un servizio che vorremmo tutti anche attraverso le nostre strutture ospedaliere, neppure troppo difficile da implementare: la basi ci sono tutte, anche in Italia.

Coronavirus: «Con un test è possibile capire se la bassa carica è infettiva»

In Lombardia ormai da giorni la metà dei tamponi positivi ha bassa carica virale. Sono persone che stanno bene, conducono una vita normale, di fatto asintomatiche, ma che devono comunque sottostare alle regole dell’isolamento fino a quando il doppio tampone negativo non accerterà che sono davvero guarite, anche dal punto di vista virologico.Ai nuovi contagi si uniscono i «vecchi», molti dei quali asintomatici, ma con tampone che non si negativizza : persone che da settimane sono barricate in casa, in isolamento . Ma non c’è un modo per gestire questi «pazienti», e verificare se sono davvero contagiosi? Il dibattito sul tema , rilanciato dallo studio del Mario Negri è molto discusso. Giuseppe Remuzzi è convinto che «i nuovi positivi non sono contagiosi perché la carica virale è diventata molto bassa». Non tutti gli esperti la pensano così, dal punto di vista scientifico non c’è una certezza assoluta che non possa esserci contagio da cariche virali basse anche se è abbastanza probabile. Un nuovo studio del San Matteo di Pavia va in questa direzione: su 280 pazienti clinicamente guariti con cariche virali basse, meno del 3% aveva la possibilità di infettare. In pratica 8 persone. Insomma quasi tutti i soggetti con bassa carica virale non sembrano pericolosi, ma la certezza al 100% non c’è. Sappiamo però che basta una sola persona contagiosa in giro per fare ripartire i focolai.

La cultura cellulare

Ma è possibile distinguere tra tamponi positivi, quelli che provengono da veri casi clinici acuti o convalescenti che ancora non hanno depurato il virus (e che corrispondono a soggetti contagianti) dai tamponi che per lo più derivano dai test sierologici (dopo il test sierologico positivo è infatti obbligatorio effettuare il tampone) e che molto spesso corrispondono invece a persone non contagiose? Non tutti i tamponi, abbiamo visto, sono positivi allo stesso modo ma le conseguenze sì: tutti i soggetti vanno quarantenati, spesso per periodi lunghi e imprecisati. La soluzione sembra esistere e non pare troppo costosa. E non si tratta di adeguarsi alle nuove linee guida Oms che suggeriscono di «liberare» i pazienti Covid su criteri clinici, dopo tre giorni senza sintomi (soluzione che agli esperti italiani non piace molto).Piuttosto, come suggerisce Francesco Milazzo, già primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, si tratta di eseguire un esame di laboratorio supplementare: mettere in coltura di cellule epiteliali (provenienti da bronchi umani) il materiale proveniente dal tampone di un sospetto positivo. In sintesi quello che hanno fatto a Pavia per dimostrare che quasi la totalità de i «debolmente positivi non infettano». «Se le tracce di RNA da Covid-19 sono espressione di un virus ancora vivo e vitale nell’arco di 2-3 giorni assisteremo alla morte delle cellule al cui interno il virus si è replicato. Se invece a quella debole positività al tampone non corrisponde un virus vivo e vitale, la nostra cultura cellulare si manterrà sana e vitale».

Viale: «Il focolaio a Bologna? Ce ne saranno altri, dobbiamo essere rapidi e spegnere subito gli incendi»

Professor Viale, il focolaio di Bologna è preoccupante?
««Non ci ha sorpreso, chi conosce l’epidemiologia si chiedeva quando sarebbero comparsi i primi cluster, non “se” sarebbero comparsi. Per quanto riguarda il focolaio a Bologna, parliamo un paio di soggetti malati e decine di positivi asintomatici». Pierluigi Viale è direttore del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche all’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, professore ordinario all’Università Alma Mater Studiorum e consigliere della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).

Le persone senza sintomi possono contagiarne altre?
«Il portatore asintomatico è un trasmettitore poco efficiente, però non si può escludere la possibilità che diffonda ad altri il virus. L’infezione è entrata in Italia due mesi prima rispetto al primo caso di malattia ed è circolata tramite gli asintomatici. Ci sono voluti quindi due mesi per arrivare a un caso clinico conclamato. I malati invece sono forti trasmettitori, in grado di contagiare anche 20-30 persone. Oggi il virus è passato dallo stato epidemico a quello endemico: si muove lentamente tra soggetti asintomatici, ma come vediamo, in contesti sociali o lavorativi particolari si possono accumulare numerosi casi, finché uno di loro sviluppa sintomi. Se il malato non viene individuato e continua a svolgere le sue attività può infettare tante persone e generare un cluster di malattia. Se viene invece intercettato rapidamente e si attivano gli screening sui contatti, i positivi asintomatici vengono isolati e talvolta anche trattati e inclusi in sperimentazioni per conoscere la loro carica virale e il loro possibile ruolo nell’epidemia. Questo è il modo per controllare il focolaio. È quello che è successo a Bologna ed è un segnale positivo, di una sanità che funziona. I colleghi del servizio di Igiene pubblica hanno testato i contatti sul luogo di lavoro e ora continueranno a testare altri contatti e i parenti degli infetti, secondo il principio dei cerchi concentrici. Questo ci permetterà di definire i reali contorni del cluster».

Speranza: «Potevamo fare di più e meglio, la sanità ora va ripensata»

«Pensare che la battaglia sia finita è un errore, solo con il vaccino potremo sconfiggere il virus. Se abbassiamo la guardia corriamo il rischio di commettere errori». L’appello alla prudenza arriva dal ministro della Salute Roberto Speranza, ospite del talk organizzato da Rcs Academy «La nuova Sanità: investimenti, spesa sanitaria e il contributo della digital health». Intervistato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, Speranza ha parlato di mesi difficili, di un Paese che deve ripartire. Ha citato Papa Francesco: peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla. Il ministro ha voluto ringraziare «donne e uomini della sanità, all’altezza di questa sfida», le istituzioni e lo stesso Servizio sanitario nazionale, che hanno fronteggiato una «prova durissima».

Rapporto Stato-Regioni

Difficile è stata la decisione di misure senza precedenti, così come lo sforzo di rispettarle da parte dei cittadini. «Ma ci sono cose su cui potevamo fare di più e meglio — ha ammesso Speranza —, punti su cui sarà necessario lavorare: gli investimenti nella Sanità, la digital health, il rafforzamento della medicina di territorio». Con l’epidemia è emerso il tema del rapporto Stato-Regioni, ha sottolineato Luciano Fontana, ci sono stati momenti di tensione e incomprensione. «È un grande tema, che merita la massima attenzione, anche se tutti abbiamo fatto il possibile per mantenere relazioni istituzionali corrette. L’Italia corre il rischio del pendolo: si oscilla tra ultrafederalismo e centralismo. Serve invece un equilibrio, dobbiamo entrare nell’età matura dei rapporti tra Stato e autonomie» ha detto il titolare del Ministero di Lungotevere Ripa.

Fumagalli (Niguarda): «Un paziente grave su tre moriva, ora gli ultimi due stanno guarendo»

Nel reparto «Corona-5» di Niguarda sono rimasti due pazienti. Erano positivi a Sars-CoV-2, gravissimi: il ricovero è durato mesi. Hanno 46 e 70 anni. Il più giovane è entrato in ospedale 87 giorni fa e solo da 72 ore respira autonomamente. Prima era attaccato all’Ecmo, una macchina per la circolazione extracorporea usata nell’insufficienza cardiaca o respiratoria. Ogni giorno migliora un po’, non rischia più la morte ma ha combattuto una battaglia all’ultimo sangue. Roberto Fumagalli, direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Niguarda di Milano e professore all’Università Bicocca, i malati di Covid li ha visti, ha condiviso la sofferenza di chi moriva senza poter abbracciare i parenti, ma anche la gioia sconfinata di chi è guarito.

Professore, com’è oggi il suo reparto a Niguarda?
«Quasi Covid-free, da tre settimane non vediamo più persone con problemi respiratori. Abbiamo due positivi non gravi, e altri due pazienti, ora negativi, entrati per Covid, che stanno guarendo».

Coronavirus, l’Oms cambia le linee guida: niente doppio tampone negativo per la guarigione

Cambiano le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità per la gestione del rilascio dall’isolamento di pazienti Covid-19. L’Oms nelle linee guida provvisorie da poco pubblicate non raccomanda più il doppio tampone negativo per certificare la guarigione da Covid-19 e liberare i pazienti dall’isolamento, ma bastano invece tre giorni senza sintomi. Indipendentemente dalla severità dell’infezione non è più richiesto il doppio tampone negativo per certificare la fine della malattia. I nuovi criteri richiesti per porre fine all’isolamento sono:

Per i pazienti sintomatici: 10 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, più almeno 3 giorni senza sintomi (incluso senza febbre e senza sintomi respiratori).

Per i pazienti asintomatici: 10 giorni dopo il tampone positivo.

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