Archive for May 31, 2020

Coronavirus, l’immunità di gregge è destinata a restare un miraggio?

Raggiungere l’immunità di gregge per Sars-CoV-2, ovvero essere protetti perché la maggior parte della popolazione si è contagiata (o vaccinata) e ha sviluppato gli anticorpi, è un miraggio? Non abbiamo ancora dati certi, soprattutto sulla durata dell’immunità, ma le indagini epidemiologiche che via via emergono porterebbero a pensare che senza un vaccino difficilmente potremo sentirci sicuri, in vista di una possibile nuova ondata in autunno.

Asintomatici 7 su 10

In Inghilterra un’analisi, elaborata dall’Office for National Statistics (Ons) su un primo campione rappresentativo nazionale, mostra che 7 soggetti su 10 positivi a Sars-CoV-2 (due terzi) non hanno avuto sintomi e solo una su 15, tra le persone testate, ha sviluppato anticorpi. «Un altro colpo — scrive il Times — alle speranze che l’immunità di gregge possa portare alla fine dell’epidemia senza il bisogno di un vaccino o trattamenti». I dati sono preliminari, ma l’Ons sottolinea l’importanza del distanziamento sociale per prevenire il contagio da persone che stanno apparentemente bene: il 79% dei positivi non mostrava alcun sintomo (al momento dell’esame) e il 70% non ha riportato sintomi nelle settimane precedenti e successive al test.

Passo avanti nella cura del mieloma multiplo con una nuova CAR-T

Nonostante i molti progressi fatti, il mieloma multiplo resta un «osso duro» da combattere: si cura, ma quasi mai si guarisce. Tipica degli anziani, è una malattia che comporta remissioni temporanee e recidive e quasi 9 pazienti su 10 vanno incontro a una ricaduta. Proprio per i malati che già hanno affrontato molti cicli di trattamenti diversi, arriva dal congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) una buona notizia: uno studio di fase due, infatti, apre prospettive interessanti grazie all’utilizzo della terapia cellulare con una nuova CAR-T, che ha raggiunto la remissione completa di malattia in un 30% di pazienti che avevano esaurito ogni possibilità di cura.

In Italia 5700 nuovi casi di mieloma ogni anno

Di CAR-T therapy si è parlato molto negli ultimi due anni e ancora molto si parlerà visto che, grazie a questa particolare forma di immunoterapia, si possono curare e forse persino guarire adulti e bambini con certi tipi di tumore del sangue che non lasciavano loro scampo. «Presentata come grande speranza nel 2016, sulla base di poche sperimentazioni condotte soltanto negli Usa soprattutto su pazienti giovani gravissimi ai quali restavano pochi mesi di vita, oggi la CAR-T therapy è disponibile anche in Italia — dice Mario Boccadoro, direttore della divisione Universitaria di Ematologia alla Città della Salute e della Scienza di Torino —: per adulti con diversi tipi di linfoma e bambini con leucemia linfoblastica acuta. E diverse sperimentazioni promettenti sono in corso anche per il mieloma multiplo, che con circa 5700 nuovi casi ogni anno in Italia è la seconda neoplasia del sangue più frequente e, trattandosi di una patologia tipica degli anziani, i casi sono in crescita, per via del progressivo invecchiamento della popolazione». Il mieloma multiplo è una malattia colpisce le plasmacellule contenute nel midollo osseo, la cui funzione è produrre gli anticorpi necessari a combattere le infezioni. L’età media dei pazienti è 70 anni e circa un quarto delle persone arriva alla diagnosi «per caso» tramite esami del sangue fatti per altri motivi. Molti arrivano però tardi alla diagnosi già con fratture alla colonna vertebrale.

Curigliano: «Tumori, ora possibile una piccola pandemia: cure e screening rinviati per il coronavirus»

Dopo la grande pandemia di Covid-19 ci dovremmo aspettare una piccola (speriamo) pandemia di tumori. Sì, perché l’ emergenza coronavirus ha avuto un grande impatto sulla prevenzione e la cura del cancro. E non poteva non occuparsene il più grande congresso mondiale di oncologia, l’Asco, dell’ American Association of Clinical Oncology di Chicago, ora in versione virtuale.

Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione nuovi farmaci allo Ieo, l’Istituto europeo di Oncologia a Milano e professore di Oncologia medica all’ Università, è l’unico italiano che parlerà, in una delle sessioni plenarie, le più importanti del congresso, sul tema più scottante: cancro e coronavirus.

Il coronavirus ha davvero penalizzato la lotta al cancro?
«Sì. Ha ritardato tutti i programmi di screening. Quelle attività che hanno come obiettivo di intercettare i tumori al loro inizio. Probabilmente, nei prossimi mesi, quando riprenderanno, ci troveremo di fronte a un numero più grande di casi avanzati, meno curabili e meno guaribili».

Che cosa è successo ai pazienti con tumori e coronavirus? Lei discuterà, all’ Asco, due studi: uno, il «Teravolt» (coordinato in Italia da Marina Chiara Garassino dell’ Istituto Tumori di Milano sul tumore al polmone) e l’ altro, americano, in sigla «CCC2019», su diversi tipi di neoplasia.
«Il fatto di avere un tumore rappresenta un fattore di rischio che rende più grave l’ infezione da coronavirus. Secondo Teravolt, pazienti con tumore polmonare e coronavirus hanno avuto un’ elevata percentuale di mortalità: uno su tre è deceduto, anche perché il coronavirus ha come bersaglio principale i polmoni. Il fatto di avere tumori, anche di altri tipi, può avere condizionato l’ accesso alle terapie che (come ha ammesso anche la Siiarti, la società italiana di anestesia e rianimazione) sono state riservate a chi aveva più possibilità di sopravvivenza. La gestione di tutti gli altri tumori, secondo lo studio CCC2019, è, invece, dipesa da condizioni oggettive: è andata meglio dove il Covid ha colpito meno».

Ma esistono già delle linee guida delle società scientifiche?
«Sì, ci sono. Anche se finora non è sempre stato facile seguirle. La società europea (Esmo) è stata la prima, poi è arrivata l’ Asco, quella americana. Regole che dovrebbero identificare quei pazienti che hanno bisogno di interventi immediati (per esempio, donne con un tumore al seno “triplo negativo”, con prognosi poco favorevole) e quelli che possono aspettare qualche mese».

Cosa vede per il futuro?
«Un potenziamento della medicina territoriale, i family doctors , come li chiamano gli anglosassoni. I nostri medici di medicina generale. Quelli che dovrebbero intercettare i segnali di malattia, inviare i pazienti allo specialista, ma poi riprenderseli in carico quando devono seguire le terapie».

Progressi contro il cancro al colon: l’immunoterapia allunga la vita nei malati più gravi con metastasi

Potrebbe cambiare l’attuale terapia standard per il tumore del colon, uno dei tumori più frequenti in Italia che, solo nel 2019, ha fatto registrare oltre 49mila nuove diagnosi nel nostro Paese. Gli esiti di uno studio presentato oggi al Congresso della Società Americana di Oncologia Medica (ASCO), al quale hanno partecipato anche ricercatori italiani, indicano infatti che l’immunoterapia somministrata in prima linea ai pazienti con metastasi (e con «instabilità dei microsatelliti», caratterizzati da un grande numero di mutazioni e con prognosi sfavorevole) raddoppia il tempo libero da progressione di malattia: ovvero, terminata la cura con il farmaco immunoterapico pembrolizumab, prima che la neoplasia si ripresenti e ricominci a crescere passano, in media, 16 mesi e mezzo rispetto agli 8,2 mesi che si ottenevano con il trattamento finora considerato il migliore disponibile. «Negli ultimi anni, diversi medicinali immunoterapici si sono dimostrati molto efficaci contro alcuni tipi di cancro in stadio avanzato — commenta Howard A. Burris III, presidente del convegno ASCO —. All’inizio venivano utilizzati come terapia di seconda linea, ora gli esiti di sperimentazioni come questa, dimostrano che possono rivelarsi molto utili già in prima linea (cioè come primo trattamento somministrato al paziente). I dati esposti nel trial KEYNOTE-177 possono potenzialmente modificare la pratica clinica, sostituendo la cura fino ad oggi considerata la più efficace (e quindi standard) con quella nuova».

Il 65% dei malati è vivo a 5 anni dalla diagnosi

Con 27mila nuovi casi negli uomini e 22mila nelle donne, i tumori del colon-retto rappresentano la terza neoplasia più frequente fra i maschi italiani e la seconda fra le femmine. La fascia d’età prevalentemente colpita è compresa fra i 60 e i 75 anni e a cinque anni dalla diagnosi è vivo, in media, il 65% dei malati. «Nonostante questa buona percentuale, il carcinoma del colon-retto resta la seconda causa di morte per tumore in entrambi i sessi — dice Giordano Beretta, presidente Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) —. Le probabilità di sopravvivenza diminuiscono drasticamente nei pazienti con metastasi e il 20% dei casi, purtroppo, viene scoperto già in fase metastatica. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, la malattia avanzata non è adatta a un intervento chirurgico che può potenzialmente portare a guarigione. Grazie alle nuove terapie, però, la sopravvivenza di questi pazienti è più che raddoppiata rispetto a vent’anni fa e oggi raggiunge i 30 mesi». Infatti, attualmente circa 481mila persone nel nostro Paese in Italia vivono con una pregressa diagnosi di tumore del colon-retto.

Coronavirus: solo il 5% degli spagnoli contagiato, 1 su 3 asintomatico

La Spagna ha condotto il suo primo esame nazionale di siero prevalenza per determinare la diffusione del coronavirus nella popolazione. I dati mostrano che solo il 5% degli spagnoli è stato contagiato e che oltre il 90% delle infezioni non era stato rilevato dal sistema sanitario.

Test su 70mila persone

L’indagine, di cui questi esposti sono solo i risultati preliminari, è stata condotta dall’Istituto di Sanità pubblica Carlos III, che ha prelevato campioni di sangue da quasi 70.000 partecipanti. Il National Statistics Institute ha selezionato casualmente oltre 36.000 famiglie per lo studio, rappresentando tutte le fasce di età, sesso e località geografiche. «È uno degli studi più solidi fatti al mondo, un lavoro enormemente ambizioso di cui siamo molto orgogliosi», hanno detto il ministro della Sanità, Salvador Illa, e il ministro della Scienza, Pedro Duque, in conferenza stampa, come riporta il quotidiano El Paìs. I risultati verranno usati per confermare le misure di allentamento delle restrizioni.

Coronavirus e test sierologici, l’immunologo Mantovani: «Ecco perché non dicono se siamo protetti e per quanto»

I test sierologici in circolo sono affidabili?
«Lo Stato e la Regione Lombardia hanno scelto due test a mio avviso validi. Ricordiamoci che per i sierologici sulle malattie infettive sono richiesti alti livelli di specificità e sensibilità (oltre 97%) per evitare il più possibile i falsi positivi e i falsi negativi. Oggi sono in commercio un centinaio di test, ma molti, forse la maggioranza non sono stati validati in modo rigoroso. Il governo britannico ne ha acquistato e buttato via 35 milioni rivelatisi inaffidabili. Indipendentemente dalla qualità del test una persona con la presunzione di essere immune può essere indotta decidere di non usare la mascherina o di non rispettare il distanziamento sociale: invece potrebbe ammalarsi e comunque portare in giro il virus».

Ragazzi, smettete di fumare: è un grande affare (anche economico)

L’indagine: se aumenta il prezzo i tabagisti smettono

L’indagine è stata condotta da AstraRicerche a marzo 2020 su un campione rappresentativo di 654 ragazzi fra i 15 e i 19 anni. «In Italia il numero di teenager che fumano resta alto: il 40% degli interpellati dichiara di fumare, almeno ogni tanto — dice Roberto Boffi, responsabile della Pneumologia e del Centro Antifumo all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e membro del Comitato scientifico di Fondazione Veronesi per la lotta al fumo —. Un dato impressionante, ma che stupisce meno se si considera che oltre la metà degli intervistati ha almeno un genitore che fuma. Due studenti su tre trovano un tabaccaio entro 300 metri dalla scuola. Moltissimi non percepiscono di essere oggetto di strategie di promozione e di marketing (meno della metà avverte la promozione dei prodotti in eventi o luoghi di ritrovo, sui social network come Instagram; solo il 40% la nota nei videogiochi, film, video musicali). Da qui nasce la proposta di Fondazione Veronesi: aumentare il prezzo di sigarette e tabacco è la prima misura efficace per ridurre i consumi, specie fra i giovanissimi, ma anche fra gli adulti». La prova? Se il prezzo di un pacchetto raddoppiasse, il 57% dei ragazzi dichiara che smetterebbe e il 40% cercherebbe di ridurre il numero di sigarette quotidiane.

Tumori, in Italia i malati vivono più a lungo e spendono meno per le cure, ma l’adesione agli screening è bassa

Parte il 29 maggio il Congresso della Società Americana di Oncologia Medica (ASCO), l’appuntamento annuale in cui si presentano le più importanti novità nell’ambito della cura dei tumori. L’elevato prezzo delle terapie innovative, problema che interessa tutto il mondo, è uno dei temi caldi degli ultimi anni e che sarà rilevante anche nell’edizione 2020. L’Italia parte, almeno sotto alcuni aspetti, da un’ottima posizione: siamo fra i Paesi che spendono di meno e che, per di più, hanno i risultati migliori. La sopravvivenza dei pazienti da noi è, infatti, più alta che nel resto d’Europa. Al centro di questo convegno ASCO ci sarà un’altra questione che accomuna tutte le nazioni nell’epoca Coronavirus: l’emergenza sanitaria causata dall’epidemia di Covid-19 ha determinato il blocco dei programmi di screening per la diagnosi precoce dei tumori al colon retto, mammella e cervice uterina, che si tradurrebbe in un significativo ritardo diagnostico se la situazione si prolungasse. E avere un numero maggiore di casi scoperti in fase avanzata significherebbe un conseguente peggioramento della prognosi e un aumento delle spese per le cure.

Prezzo terapie anticancro: una bomba a orologeria

Il costo delle cure anticancro è una bomba a orologeria il cui scoppio viene annunciato ormai da tempo: il numero dei malati è in continua crescita e, soprattutto per il nostro Sistema sanitario universalistico, continuare a garantire le terapie migliori a tutti è una sfida sempre più ardua. Uno dei modi migliori per arrestare l’allarme è la prevenzione: oltre un terzo delle neoplasie non si svilupperebbero a fronte di stili di vita corretti, quindi tutti noi possiamo fare concretamente qualcosa per schivare il pericolo. «A partire dal partecipare ai programmi di screening per la diagnosi precoce, che salvano vite umane perché un tumore scoperto agli stadi iniziali è più facile da curare e le probabilità di guarire definitivamente sono più alte – sottolinea Giordano Beretta, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) -. Trattare la malattia individuata agli inizi ha due vantaggi: significa trattamenti meno invasivi per i malati e costi minori per il Servizio sanitario nazionale. Per questo è necessario riattivare con urgenza tutti gli screening oncologici e per questo AIOM lancia una grande campagna per aumentare l’adesione da parte degli italiani, che ancora troppo spesso buttano nel cestino la lettera d’invito a sottoporsi ai test gratuitamente».

Il coronavirus si è indebolito? Ecco cosa ne pensano i virologi

Sars-CoV-2 fa meno paura. Questa affermazione può avere diversi punti di vista: economico, psicologico, sociale. Ma è la prova scientifica, data da coloro che il virus lo guardano in faccia, che può confermare il sentimento collettivo. I dati annunciati dal professore Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, hanno già aperto il confronto tra esperti. Il coronavirus si è davvero indebolito? E non dobbiamo temerne un ritorno nella sua veste più crudele?

Pochissime mutazioni

Massimo Galli, direttore del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche “Sacco” dell’Università Statale di Milano, in un tweet ha sottolineato l’importanza di un ampio studio cinese pubblicato sulla rivista Nature, secondo cui il microrganismo, dall’inizio dell’epidemia, non è sostanzialmente cambiato. «Al momento le circa 30mila sequenze virali depositate nella banca dati internazionale dicono che il virus da dicembre a oggi ha subito pochissime e poco significative mutazioni — conferma Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Spallanzani” di Roma —. Tutti gli isolamenti che abbiamo effettuato confermano questo trend. Ad essere mutate sono le condizioni ambientali: il numero degli infetti è diminuito, l’affinamento delle strategie di sorveglianza consente di individuare sempre più precocemente i casi positivi. Per valutare se il virus è cambiato ci vogliono studi su grandi numeri, che al momento non mi sembra siano disponibili».

Anziani, perché nella fase due è meglio uscire (con le precauzioni)

Emergenza caldo

Come comportarsi però d’ora in avanti, tenendo conto che ci sarà da affrontare pure l’estate e quindi l’emergenza caldo, che certo non aiuterà gli anziani? Secondo i geriatri la soluzione passa dalla cautela e dal controllo a distanza, per Covid-19 come per la canicola estiva. «Resta valido e necessario il rispetto delle prescrizioni di protezione individuale, come l’uso delle mascherine, e delle norme igieniche che dovrebbero ormai essere automatiche nei nostri comportamenti; detto ciò, occorre trovare un compromesso fra rischio ambientale e vulnerabilità individuale, valutando caso per caso», dice il geriatra. «Il pericolo ambientale è riassunto nel valore Ro dell’area dove si vive, che indica quante persone può infettare un positivo al virus e quindi il rischio di contagio; la vulnerabilità del singolo dipende dalla presenza o meno di malattie croniche come scompenso cardiaco, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale. Quindi chi è più fragile, oltre a seguire le regole di precauzione e igiene ormai note, dovrà uscire quando la densità di persone in strada è inferiore ed evitare i posti dove, nonostante le misure di distanziamento, ci possano essere parecchie persone tutte assieme».

Meno spesa più passeggiate

Meglio insomma la passeggiata al mattino presto e in aree poco affollate, lasciando magari l’incombenza della spesa al supermercato a qualcun altro. La Sigg ha proposto peraltro anche un monitoraggio da remoto per gli anziani più debilitati, come illustra Antonelli Incalzi: «L’obiettivo è cogliere tempestivamente l’eventuale esordio dell’infezione e prevenire che le malattie croniche presenti si aggravino; i soggetti da seguire potrebbero essere scelti secondo i criteri di selezione degli anziani a rischio durante le ondate di calore e il monitoraggio potrebbe essere affidato al medico di famiglia oppure al geriatra nei casi più problematici, con un aiuto variabile da parte di infermieri». Così facendo sarà possibile garantire una buona dose di libertà e qualità di vita agli anziani, anche ai più deboli, senza metterli in pericolo. La telemedicina sarà perciò sempre più un alleato perché eviterà tante visite in ambulatorio e il conseguente rischio di contagi: nelle sale d’attesa dei medici di base spesso ci sono quasi solo anziani, nei prossimi mesi non dovrà né potrà essere più così. Aggiunge il geriatra dell’Università Campus Biomedico di Roma Claudio Pedone: «Con le videochiamate e la telemedicina il medico può cogliere criticità e variazioni dello stato di salute dell’anziano senza pregiudicarne la sicurezza, ottenendo informazioni per esempio sulla glicemia, la pressione, l’ossigenazione del sangue, la mobilità del paziente, l’assunzione corretta dei medicinali prescritti, o addirittura la precisa localizzazione all’interno del domicilio ed eventuali situazioni di pericolo, come le cadute. Le tecnologie non potranno sostituire il rapporto di persona coi pazienti, ma sono di grande aiuto per la continuità delle cure in un momento in cui per i più fragili o disabili uscire di casa resta un rischio».

Attenzione alla dieta

I geriatri, poi, raccomandano di fare particolare attenzione anche alla dieta, nelle prossime settimane, soprattutto in chi a causa delle malattie concomitanti dovrà comunque passare più tempo a casa: la minore interazione con gli altri di questo periodo ha portato tanti a una scarsa attenzione alla qualità, alla preparazione e al consumo regolare dei pasti, perciò è arrivato il momento di rimediare. Osserva Stefania Maggi, geriatra epidemiologa del Cnr di Padova: «Le dispense di alcuni anziani si sono riempite di scorte spesso eccessive di cibi conservati, che vanno a scapito del consumo regolare di frutta e verdura fresca. Occorre invece tornare a una dieta sanae varia di stampo mediterraneo, perché l’alimentazione influenza molto l’efficienza del sistema immunitario e quindi anche il rischio di ammalarsi, la risposta alle infezioni e la loro gravità, Covid-19 incluso: la dieta modifica l’espressione di geni legati alla risposta immune, influisce sulla composizione del microbiota intestinale che è legato a doppio filo all’attività del sistema immunitario, modula lo stress ossidativo e influenza la risposta infiammatoria indotta da un’eventuale infezione virale. In particolare serve un adeguato apporto di ferro, zinco e vitamine A, D, E, B6 e B12 ma attraverso i cibi, non sotto forma di integratori». Sì quindi alla dieta mediterranea con cinque porzioni di vegetali al giorno, pesce e carne bianca due volte a settimana, carne rossa una volta soltanto e latticini o uova tutti i giorni. Non devono mancare poi l’olio d’oliva, quattro cucchiai al giorno, e le erbe aromatiche per ridurre l’impiego di sale e salse di condimento.

Le proteine

Il nutriente più critico? «Le proteine, perché la sedentarietà forzata può avere un effetto negativo sulla muscolatura», risponde Maggi. «L’ideale è scegliere prodotti freschi e locali, altrettanto importante non credere alle bufale per cui singoli componenti della dieta, erbe o intrugli vari combatterebbero il virus e salverebbero dall’infezione: l’unica ricetta valida è la dieta mediterranea e deve essere garantita anche e soprattutto agli anziani più vulnerabili, a rischio di isolamento e quindi di malnutrizione. Questi soggetti vanno individuati e se necessario va fornita loro un’assistenza regolare, dal quotidiano approvvigionamento di cibi freschi e salutari alla consegna di pasti pronti». Il monitoraggio dei più fragili, che si tratti di fronteggiare Covid-19 o le ondate di calore estivo, si conferma perciò come la strategia migliore per la sicurezza e la qualità di vita degli anziani.

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