Archive for April 30, 2020

L’appello dei medici: fondamentale vaccinarsi contro l’influenza

Sars-Cov-2 e influenza: una combinazione che, nel prossimo autunno-inverno, potrebbe provocare «danni incalcolabili». Claudio Cricelli, presidente Simg (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie) riassume cosi una preoccupazione crescente nella comunità scientifica. Tanto che la Simg ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Conte e al ministro della Salute Speranza, destinandola per conoscenza anche al direttore dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, ai governatori delle Regioni e agli assessori alla Sanità. La richiesta: procedere in maniera massiccia alla vaccinazione anti-influenzale.

Sintomi molto simili

Un eventuale ritorno di Sars-Cov-2 potrebbe confondersi con l’epidemia influenzale ed è fondamentale che le categorie a rischio si proteggano, conferma Stefano Vella, infettivologo e docente all’Università Cattolica di Roma. «Si tratta di due patologie con sintomi molto simili, almeno all’inizio: è importante quindi la vaccinazione, sia per la protezione che offre sia per permettere una diagnosi più facile. Questo secondo me dovrebbe riguardare tutti, anche i bambini, ma a maggior ragione i pazienti più a rischio, come chi ha già una patologia grave». Il virus, spiega Vella, non si è indebolito: «Anche nella fase 2 dovranno essere rispettate con rigore le misure di distanziamento sociale. Covid-19 è una malattia poco prevedibile, in un certo senso “imprecisa”: nel 50% dei casi è asintomatica, nel 30% è caratterizzata da un decorso lieve moderato. Ma il 15-20% dei pazienti presenta una sindrome acuta respiratoria grave, talvolta con necessità di ricovero in terapia intensiva».

Vaccino contro Sars-CoV-2, che cosa dobbiamo realmente aspettarci?

Professor Abrignani, a che punto siamo nella ricerca di un vaccino contro Sars-CoV-2?
«Siamo di fronte a uno sforzo mondiale senza precedenti, che al momento si basa su assunti che ci auguriamo siano giusti — afferma Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi», in passato ricercatore in una multinazionale americana che produce vaccini —. È una scommessa, sono tante le cose che non sappiamo di questo virus che studiamo solo da pochi mesi».

Per esempio?
«Per creare un vaccino si deve identificare un “correlato di protezione”, ovvero il tipo di risposta immunitaria che protegga dall’infezione e che si vorrà indurre con la vaccinazione. Per arrivare a definire un correlato di protezione, nell’iter normale, cominceremmo a studiare in dettaglio la risposta immunitaria nei pazienti guariti e negli asintomatici per capire quale risposta si associ alla guarigione o a un andamento benigno dell’infezione; allo stesso tempo utilizzeremmo dei modelli animali per capire quale risposta protegga da un’infezione sperimentale. In una situazione di emergenza, come quella che stiamo vivendo, tutto viene accelerato al massimo e si cercano delle scorciatoie, cioè si fanno una serie di assunti logici e si opera come se fossero veri. Per esempio, poiché la proteina spike è la chiave che il virus utilizza per entrare nelle cellule umane, in analogia con altre infezioni virali acute, il primo assunto fatto è che gli anticorpi anti-spike, che neutralizzano l’ingresso del virus nelle cellule, ci proteggano dall’infezione».

Coronavirus bambini, la malattia di Kawasaki colpisce i vasi sanguigni dei più piccoli

Da Bergamo a Genova, da Londra a Lisbona. I pediatri di molte zone d’Europa hanno lanciato l’allerta dopo aver registrato un numero particolarmente elevato di bambini colpiti da una rara sindrome infiammatoria che si teme possa essere legata al nuovo coronavirus. Il 21 marzo scorso il dottor Matteo Ciuffreda, cardiologo pediatrico all’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo ha diagnosticato per la prima volta la “sindrome di Kawasaki” a un bambino arrivato in pronto soccorso. Da quel giorno i casi sono diventati 20. «Negli ultimi due mesi – aggiunge Lucio Verdoni, reumatologo pediatra del Papa Giovanni – ci siamo accorti che giungevano al pronto soccorso pediatrico diversi bambini che presentavano una malattia nota come Malattia di Kawasaki. In un mese il numero dei casi ha eguagliato quelli visti nei tre anni precedenti». Al Gaslini di Genova il professor Angelo Ravelli, pediatra e segretario del gruppo di studio di Reumatologia della Società italiana di pediatria sta curando 5 bambini affetti da dalla sindrome di Kawasaki ricoverati nelle ultime quattro settimane, quando in un anno se ne registrano al massimo nove. E proprio la malattia di Kawasaki è citata nell’alert dei pediatri inglesi sulle sindromi infiammatorie riscontrate nei bambini ricoverati per Covid-19, spesso anche in terapia intensiva. Altri casi sono registrati in Spagna e in Portogallo. Il sospetto è che possa esserci una correlazione tra Sars-Cov 2 e la malattia di Kawasaki, infiammazione ai vasi sanguigni (vasculite) che colpisce i bambini.

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Coronavirus: in Italia senza lockdown 600 mila casi e 200 mila ricoveri

Uno studio italiano, condotto da Politecnico di Milano, Cà Foscari di Venezia e Università di Padova uscito sulla rivista scientifica PNAS, esamina gli effetti degli interventi di lockdown nel nostro paese nelle prime settimane dell’epidemia fino al 25 marzo. Secondo i modelli matematici proposti le misure restrittive hanno abbassato la probabilità di contagio del 45 per cento (fino al 49 per cento nello scenario più pessimistico). I ricoveri evitati avrebbero raggiunto 200.000 persone. I casi confermati in quel momento avrebbero raggiunto i 600.000.

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Coronavirus, l’Oms: «Nessuna prova che i guariti siano immuni, non si può dare alcuna patente»

Non ci sono, al momento, prove scientifiche che garantiscano che le persone guarite da Covid-19 – la malattia causata dal coronavirus Sars-CoV-2 – abbiano anticorpi in grado di proteggere da una seconda infezione. Lo ricorda l’Organizzazione mondiale della Sanità in un documento appena pubblicato. A questo punto della pandemia, scrive l’Oms, «non ci sono abbastanza evidenze sull’efficacia dell’ immunità data dagli anticorpi per garantire l’accuratezza di un “passaporto di immunità” o un ”certificato di libertà dal rischio”».

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Coronavirus, mascherine di stoffa fatte in casa: l’efficacia filtrante migliora con una calza di nylon

Uno studio ancora in attesa di pubblicazione del Departments of Civil and Environmental Engineering and Marine and Environmental Sciences Northeastern University of Boston ha misurato il potere filtrante delle mascherine di stoffa fatte in casa, proponendo una curiosa soluzione per migliorarlo.

Lo studio

Nella ricerca sono state valutate 10 mascherine di stoffa realizzate con tessuti di provenienza locale di diversi design, con e senza filtri, e 3 mascherine di tipo chirurgico prodotte commercialmente. Le mascherine FFP2 e FFP3 (che negli Usa si chiamano N95) sono state utilizzate per convalidare la prova, insieme a una mascherina chirurgica della ditta 3M modello 1826, utilizzata come base di confronto per le mascherine di tipo chirurgico testate. Si andava a valutare l’efficacia di protezione da particelle di virus trasportate dall’aria per chi indossasse questi modelli. Per farlo, sono stati utilizzati i protocolli progettati per testare l’adattamento e le prestazioni dei respiratori N95. Tutti i test sono stati condotti mentre le mascherine venivano indossate dallo stesso soggetto che respirava normalmente, dal naso con la bocca chiusa, tenendo la testa ferma.

Isolato il coronavirus nelle lacrime di una paziente. Può esserci contagio?

Il virus SarsCov2 è attivo anche nelle secrezioni oculari, ovvero nelle lacrime, dei pazienti positivi. Lo dimostra uno studio pubblicato su Annals of Internal Medicine dai ricercatori dell’Istituto Spallanzani di Roma. Partendo da un tampone oculare, hanno isolato il virus dimostrando che esso è in grado di replicarsi anche nelle congiuntive. La ricerca, affermano, dimostra che gli occhi non sono solo una delle porte di ingresso del virus nell’organismo, ma anche una «potenziale fonte di contagio».

L’incontro: «Diventare mamma con una malattia autoimmune»

Venerdì 8 maggio alle ore 16, collegandosi a Corriere.it si potrà assistere all’incontro in streaming video «Diventare mamma con una malattia autoimmune». Parteciperanno Clara De Simone, primario di Dermatologia al Policlinico Gemelli Irrcs di Roma, Università Cattolica; Angela Tincani, primario di Reumatologia e Immunologia Clinica agli spedali Civili di Brescia , Università degli Studi di Brescia, Università di Brescia; Antonella Celano, Presidente APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare); Valeria Corazza, Presidente APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza); Silvia Tonolo, Presidente ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici).

Il tema dell’incontro

Sarà l’occasione per parlare dei problemi che possono trovarsi ad affrontare le donne in età fertile affette da una patologia reumatologica o dermatologica autoimmune, patologie che interessano frequentemente il sesso femminile e spesso si manifestano proprio quando si fanno progetti per il futuro, talvolta influenzando negativamente il desiderio di creare una propria famiglia, tanto da condizionare la vita di coppia. Oggi però diventare mamma con queste malattie è un sogno realizzabile perché esistono terapie con un alto profilo di sicurezza ed efficacia, che possono essere usate in gravidanza senza rischi per il feto. Durante l’incontro si parlerà di questi temi ma non solo. Oggi, per esempio le donne affette da queste patologie devono fare i conti anche con l’emergenza Covid, che interpella medici e pazienti in modo specifico. L’evento è promosso da ANMAR, APIAFCO, APMAR, con il supporto di MediaForHealth e il contributo non condizionato di Ucb.

Infezioni, ibuprofene può mascherare i sintomi (e peggiorarne il decorso)

Un mese fa l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) scriveva: non ci sono prove scientifiche che dimostrino che l’ibuprofene, farmaco antinfiammatorio ampiamente utilizzato, possa aggravare gli effetti dell’infezione da Sars-CoV-2. «All’inizio del trattamento della febbre o del dolore dovuti a Covid-19, i pazienti e gli operatori sanitari devono considerare tutte le opzioni di trattamento disponibili, incluso il paracetamolo e i Fans, farmaci antinfiammatori non steroidei» sottolineava l’Agenzia in risposta al ministro francese della Salute, Olivier Véran, il quale a sua volta citava uno studio secondo cui prendere farmaci anti-infiammatori, come quelli a base di ibuprofene o di cortisone, potrebbe essere «un fattore aggravante dell’infezione».

Polmonite e varicella

Oggi le raccomandazioni vengono aggiornate, dopo che il Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (Prac) dell’Ema ha avvertito che i farmaci contenenti ibuprofene e ketoprofene possono “mascherare” i sintomi di alcune infezioni. La conseguenza può essere un ritardo nella somministrazione delle terapia, con il rischio di un decorso peggiore. L’analisi si è concentrata in particolare su due malattie: la polmonite batterica e la varicella con complicanze batteriche. Pertanto — sottolinea il Comitato — i pazienti devono essere monitorati quando vengono utilizzati farmaci contenenti ibuprofene e ketoprofene per alleviare la febbre o il dolore dovuti a un’infezione. Inoltre le informazioni allegate ai prodotti andrebbero aggiornate.

Coronavirus e malattie rare: cure interrotte per più di metà dei pazienti

Chi soffre di una malattia rara ha bisogno di cure continue, dai controlli alla riabilitazione, dai dispositivi medici alle terapie spesso salvavita effettuate, in alcuni casi, in ospedale. Per conoscere le difficoltà dei malati rari durante questa pandemia e dare risposte alla loro necessità di assistenza, il Centro nazionale malattie rare (Cnmr) dell’Istituto superiore di sanità e la Federazione delle associazioni di malati rari UNIAMO hanno promosso e realizzato un’indagine congiunta «I bisogni dei pazienti rari durante l’emergenza da COVID-19», dal 23 marzo al 5 aprile. Ebbene, su 1174 pazienti (o familiari) che hanno compilato il questionario online, più della metà ha rinunciato o interrotto i percorsi terapeutici: il 46 per cento lo ha fatto su consiglio del medico di famiglia o del pediatra di libera scelta o dello specialista del centro di riferimento per la propria malattia rara, gli altri hanno rinunciato alle cure di propria iniziativa, soprattutto per paura del contagio in ospedale. Circa un paziente su tre segnala la mancanza di assistenza sanitaria e sociale. Rilevati anche casi di carenza di farmaci e di ausili medici.

I risultati

I risultati dell’indagine sono stati presentati durante un webinar al quale hanno partecipato pazienti ed esperti italiani e di altri dieci Paesi, Argentina, Albania, Bulgaria, Finlandia, Georgia, Irlanda, Spagna, Romania, Svizzera, Stati Uniti (NIH-National Institutes of Health). I seminari sul web dedicati alle malattie rare proseguiranno ogni martedì. «Abbiamo raccolto 1174 risposte, l’80 per cento nei primi 3 giorni, dal 23 al 26 marzo, periodo in cui va contestualizzata la rilevazione sulle istanze dei pazienti – precisa Domenica Taruscio, direttore del Centro nazionale malattie rare -. I questionari sono stati compilati da persone, di tutte le Regioni, affette da 321 diverse malattie singole, 156 patologie multiple, 7 malattie rare senza diagnosi». Al 23 marzo il 54 per cento dei pazienti aveva problemi di continuità terapeutica e difficoltà nel programmare visite e controlli. Meglio, invece, la consegna a domicilio dei farmaci: a fine marzo era garantita all’80 per cento di coloro che ne avevano bisogno.

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