Archive for February 29, 2020

Coronavirus, evitare strette di mano è davvero utile contro i contagi?

Niente strette di mano, baci, abbracci. In tempi di coronavirus è meglio salutarsi mantenendo una certa distanza. In Francia il ministro della Salute Olivier Veran ha ammesso che l’epidemia è entrata in una nuova fase, raggiungendo lo stadio 2: «Il virus circola sul nostro territorio e dobbiamo frenarne la diffusione». Ha quindi raccomandato di evitare le strette di mano, una misura importante — ha sottolineato — al pari di lavarsi bene le mani e starnutire coprendosi bocca e naso con l’avanbraccio. Tra le misure precauzionali decise c’è anche la chiusura di molte scuole, come in Italia.

Carica virale scende

È utile la raccomandazione del ministro francese della Salute, che ha “vietato” le strette di mano? «Il concetto non è sbagliato, ma è sempre consigliabile evitare allarmismi eccessivi per la popolazione — risponde Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi —. Le mani sono senza dubbio una via indiretta di trasmissione del virus, anche a livello ospedaliero, di conseguenza è determinante la massima attenzione all’igiene: le mani vanno lavate spesso con acqua e sapone (o soluzioni alcoliche) ed è bene che entrino il meno possibile in contatto con occhi, bocca e naso. È però giusto sottolineare che da quando avviene l’emissione delle goccioline da parte del soggetto sintomatico, attraverso tosse o starnuti, c’è via via una riduzione della carica virale, già a partire dai primi minuti, che rende meno efficace l’infezione. In altri termini, perché un soggetto venga contagiato serve una quantità di virus adeguata, che può venire a mancare quando passa del tempo tra l’emissione di saliva o muco e il contatto con un’altra persona (per esempio tramite le mani o superfici di vario genere). Alcuni studi indicano che questo dipende anche dalle condizioni ambientali: con temperature basse e umidità elevata il microrganismo ha una resistenza maggiore».

Coronavirus, che cosa devono fare i malati di tumore: tutte le precauzioni

Uno dei morti registrati ad oggi in Italia per malattia da coronavirus (Covid-19) riguarda una paziente oncologica, una signora di 68 anni della provincia di Cremona deceduta domenica 23 febbraio all’ospedale di Crema. I medici hanno spiegato che la donna aveva un quadro clinico molto compromesso: era ricoverata nel reparto di oncologia con una diagnosi di cancro, aveva avuto un attacco cardiaco e, in seguito a una crisi respiratoria, era stata trovata positiva anche al coronavirus.

3 milioni e mezzo di malati

Una notizia che ha comprensibilmente angosciato i quasi 3 milioni e mezzo di italiani che vivono dopo la diagnosi di tumore e i loro familiari. «La parola d’ordine è sempre la stessa: niente panico – sottolinea Saverio Cinieri, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) -. La prudenza, però, è d’obbligo. Soprattutto per tutte le persone che sono più fragili, quali gli anziani e quelle che già soffrono di malattie “importanti”, quali ad esempio tumori, diabete, patologie cardiologiche».

La dipendenza da smartphone ci cambia davvero il cervello

La dipendenza da smartphone altera fisicamente il cervello, variandone forma e dimensioni in un modo simile a quanto succede per un tossicodipendente. Lo dimostra un recente studio – il primo a fornire una prova fisica del legame fra l’utilizzo dello smartphone e le alterazioni fisiche che avvengono nel cervello – pubblicato sulla rivista Addictive Behaviors e condotto da un gruppo di scienziati della Heidelberg University tedesca. Esaminando le immagini scattate da uno scanner per la risonanza magnetica su 48 persone (22 con dipendenza da smartphone e 26 senza alcuna dipendenza), i ricercatori hanno notato una riduzione del volume della materia grigia in alcune parti chiave del cervello nei soggetti con il disturbo (un effetto analogo a quello registrato nella mente di chi è dipendente da sostanze), a cui si accompagnava anche una minore attività cerebrale rispetto alle persone senza dipendenze.

Smartphone innocui?

«Gli individui con dipendenza da smartphone hanno evidenziato un volume più ridotto della materia grigia nell’insula anteriore sinistra e nella corteccia temporale inferiore e paraippocampale», scrivono gli autori, sottolineando come la diminuzione di materia grigia in una di queste aree, ovvero nell’insula, fosse stata precedentemente collegata alla dipendenza di sostanze. Il concetto di innocuità degli smartphone – concludono – «è da rivedere, perlomeno nei soggetti che potrebbero essere a rischio maggiore di sviluppare comportamenti di dipendenza».

Rischio di tumore per i bambini nati con fecondazione assistita? Nessun allarme

Chi è nato grazie a tecniche di fecondazione assistita corre dei rischi in più per la propria salute? Avrà, ad esempio, maggiori probabilità di ammalarsi di cancro? Se lo sono chiesti i ricercatori dell’Università di Copenhagen che hanno analizzato i dati relativi a oltre un milione di bambini nati in Danimarca, facendo un confronto fra quanti erano stati partoriti da madri rimaste incinte per via naturale e quanti erano invece stati concepiti grazie al trasferimento di embrioni crioconservati. Gli esiti della loro indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Jama (Journal of American Medical Association) e le conclusioni indicano un «minimo aumento statisticamente significativo» del pericolo di ammalarsi di un tumore in età pediatrica solo per coloro che sono nati tramite il trasferimento di embrioni congelati (FET), mentre nessun rischio appare collegato ad altre tecniche di fecondazione assistita.«Questo esito parziale non deve allarmare nessuno, però – spiega Fedro Peccatori, direttore dell’Unità di Fertilità e Procreazione in Oncologia all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano -. Per due motivi: primo, gli stessi autori della ricerca spiegano che è soltanto il tassello di un quadro più ampio e che non significa avere una risposta definitiva; secondo, altri studi sullo stesso tema sono giunti a conclusioni diverse. Quindi è giusto che la scienza indaghi, ma per ora questa indagine non modifica nulla nella vita delle mamme e dei loro bambini».

Lo studio

Nella ricerca danese sono stati esaminate le informazioni relative a 1.085.172 bambini nati nel Paese fra il 1996 e il 2012, seguiti dal 1996 al 2015, per un totale di 2.217 piccoli che hanno ricevuto una diagnosi di cancro infantile. «E’ una ricerca ben strutturata, ma è importante sottolineare che si tratta di uno studio retrospettivo di tipo osservazionale – sottolinea Barbara Buonomo, ginecologa che lavora nella stessa Unità allo Ieo -: si tratta cioè di un’indagine che fornisce importanti osservazioni di tipo epidemiologico, ma non consente di stabilire associazioni causali tra fattori rischio e condizioni patologiche. Gli autori stessi indicano tra i limiti dello studio il non poter escludere l’esistenza di fattori di confondimento, responsabili del risultato emerso (limite questo comune agli studi di tipo osservazionale). Ovvero, in pratica, i numeri raccolti non sono collegati a una causa, quel lieve aumento che si registra potrebbe essere dovuto a molte ragioni e nulla indica un legame preciso con le tecniche di procreazione assistita. E poi, se è vero che un milione di bambini sono una casistica ampia “in assoluto”, il numero è limitato se si decide di indagare su un evento raro quali sono i tumori nell’infanzia».

Coronavirus in Africa: i timori della comunità scientifica e le criticità sanitarie del continente

Il nuovo coronavirus è arrivato in Africa, questo desta una serie di timori nella comunità scientifica, derivanti principalmente da alcune criticità presenti nel sistema sanitario in diversi Paesi del continente e dall’ingente numero di persone che potrebbero esserne coinvolte. Capiamo quali possono essere i nodi legati alla notizia del primo caso.

Egitto Paese a rischio ma meglio attrezzato

Il primo caso confermato viene dall’Egitto: lo ha annunciato lo stesso ministro della Salute del Paese, specificando che si tratta di un paziente straniero (un cittadino cinese in viaggio in Egitto). È stato dichiarato che la persona si trova ricoverata in isolamento in ospedale. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è stata allertata subito. La buona notizia è che l’Egitto è uno dei Paesi africani con «la maggiore capacità di rispondere a un’eventuale emergenza», lo sostiene anche Vittoria Colizza, ricercatore dell’Inserm, l’Istituto nazionale francese di salute e ricerca medica, che nei giorni scorsi, per conto del governo francese, ha stilato uno studio per valutare la preparazione del continente a far fronte a un’eventuale epidemia da COVID-19. Lo studio aveva individuato nell’Egitto il Paese a più alto rischio di importazione del virus, ma con un’alta capacità e preparazione a rispondere da un punto di vista sanitario.

Bambini e adolescenti malati di tumore: tanti progressi, ma si può (e si deve) fare di più

Oggi un numero sempre maggiore di bambini e ragazzi sopravvive al cancro rispetto al passato e in media in Italia otto su dieci riescono a guarire. Merito dei progressi nella ricerca di nuove terapie, ma anche di un miglioramento nell’organizzazione delle cure. Per quanto riguarda gli adolescenti, ad esempio, i limiti di età, prima considerati una barriera insormontabile, sembrano essere oggi un problema in gran parte superato.Fino a pochi anni fa, infatti, nonostante il fatto che due terzi dei tumori nella fascia 15-19 anni siano in realtà tipici dell’età infantile (tumori del sistema nervoso centrale, sarcomi, leucemie e linfomi), solo una minoranza di pazienti veniva inviata ai centri di oncologia pediatrica, mentre ora l’accesso ai reparti e ai trattamenti più idonei è sensibilmente migliorato. A fare il punto sulla situazione, sono gli esperti dell’Associazione Italiana Ematologia ed Oncologia Pediatrica (Aieop) e la Federazione Italiana Associazioni Genitori Oncoematologia Pediatrica (Fiagop) in occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro Infantile che si celebra il 15 febbraio.

Il ricovero dei teenager in pediatria

Ogni anno nel mondo oltre 300mila bambini e adolescenti ricevono una diagnosi di cancro (sono circa 60 i sottotipi diversi che colpiscono i più giovani) e, nonostante l’incremento dei tassi di guarigione negli ultimi anni, la mortalità è ancora troppo elevata. In Italia abbiamo circa 1.500 diagnosi annue nella fascia di età 0-14 e 900 in quella adolescenziale. La percentuale di adolescenti malati di cancro curati nei centri Aieop (la società scientifica che dal 1975 si occupa, attraverso una rete collaborativa nazionale, della ricerca e della cura dei tumori pediatrici) rispetto ai casi attesi in Italia è passata dal 10 per cento nel periodo 1989-2006 al 28 per cento nel periodo 2007-2012 per arrivare infine al 37per cento negli anni compresi tra il 2013 e il 2017. È quanto emerge da uno studio italiano pubblicato di recente dalla rivista americana Journal of Adolescent and Young Adult Oncology, che evidenzia anche come attualmente solo una minoranza di centri Aieop ponga restrizioni all’ammissione di minori di 18 anni nei reparti idonei a curarli.  

Coronavirus: la Cina si adegua all’Oms sul conteggio dei casi

La Cina ha aggiunto 254 nuovi decessi e altri 15.152 casi di contagio al bollettino dell’epidemia di Covid-19. A rendere note le nuove cifre, che tengono conto del cambio dei parametri diagnostici nella provincia epicentro del focolaio, lo Hubei, sono state le autorità sanitarie. Con l’aggiornamento ufficiale, in Cina salgono così a 1.367 i decessi e a 59.804 i contagi totali.

Problema di numeri

La Chinese National Health Commission avrebbe deciso il 7 febbraio di cambiare il modo di conteggiare i casi di COVID-19 positivi, in disaccordo con quanto prevedono le linee guida dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) e poi avrebbe fatto marcia indietro dopo le critiche ricevute. Ecco che cosa è successo nel giro di pochi giorni.

Coronavirus e contagi, quanto può vivere sulle superfici contaminate?

Il coronavirus può rimanere infettivo sulle superfici degli oggetti a temperatura ambiente fino a 9 giorni. In compenso non è molto resistente e bastano detergenti a base di candeggina o disinfettanti a base di alcol o acqua ossigenata per ucciderlo. A fare chiarezza è una revisione di studi, pubblicata sul Journal of Hospital Infection. I ricercatori della University Medicine Greifswald, in Germania, hanno rivisto la letteratura su tutte le informazioni disponibili sulla persistenza dei coronavirus umani e animali su superfici inanimate e sulle strategie di inattivazione con agenti utilizzati normalmente per la disinfezione chimica nelle strutture sanitarie.

Alcol etilico e candeggina

L’analisi di 22 studi rivela che i coronavirus umani, come quello della sindrome respiratoria acuta grave (Sars), della sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers) o i coronavirus umani endemici (HCoV), possono persistere su superfici inanimate come metallo, vetro o plastica fino a 9 giorni, ma possono essere inattivati in modo efficiente nel giro di un minuto attraverso procedure di disinfezione delle superfici con alcol etilico (etanolo al 62-71%), acqua ossigenata (perossido di idrogeno allo 0,5%) o candeggina (ipoclorito di sodio allo 0,1%). «Poiché non sono disponibili terapie specifiche per 2019-nCoV – concludono i ricercatori, guidati da Gunter Kampf -, il contenimento precoce e la prevenzione di un’ulteriore diffusione saranno cruciali per fermare l’epidemia in corso».

I sintomi del nuovo coronavirus Come distinguerlo dall’influenza

I sintomi dell’infezione da parte del nuovo coronavirus assomigliano a quelli dell’influenza e delle sindromi parainfluenzali che circolano in questa stagione e questo è il motivo per cui si creano molti falsi allarmi prima che le analisi di laboratorio consentano di arrivare a una diagnosi certa. Febbre, tosse, dolori muscolari, difficoltà respiratorie e più raramente disturbi gastrointestinali e diarrea sono i sintomi più diffusi. Segnalati anche mal di testa e confusione mentale. Nei casi più gravi, se l’infezione si diffonde nel basso tratto respiratorio, è possibile che compaiano gravi polmoniti (secondo le stime nel 15% dei casi) che possono portare a insufficienza respiratoria acuta. Il virus può diffondersi fino ai reni e causare così insufficienza renale.

Come si cura

Non esiste un trattamento specifico per la malattia ma gli studi su potenziali terapie si moltiplicano. In una manciata di casi pazienti gravi sono stati trattati con successo con farmaci antivirali usati contro l’Hiv ed Ebola. In altre situazioni sono stati somministrati farmaci antimalarici, ma i ricercatori sono per ora cauti perché non esistono dati su larga scala. Quando la malattia provoca polmoniti virali particolarmente gravi si può prendere in considerazione l’uso dell’Ecmo, l’ossigenazione extracorporea, una tecnica di rianimazione che supporta le funzioni vitali attraverso l’ossigenazione del sangue (in Italia esistono 14 strutture ospedaliere che dispongono di questi dispositivi).

Luke Evans: «Così aiuto nonna Enid ad affrontare l’Alzheimer»

I nostri nonni «ci possono insegnare tanto. Riempiteli d’amore, alzate il telefono, mandate loro una cartolina o videochiamateli su FaceTime come faccio io».
Questo è solo uno dei moltissimi messaggi che su Instagram l’attore e cantante gallese 40enne Luke Evans indirizza ai genitori della madre, in particolare a nonna Enid – che lui chiama «nana» -, 84 anni a marzo, l’unica «donna della sua vita». Le ha regalato un cuscino con la faccia del suo personaggio nel film Lo Hobbit (Bard l’arciere) e l’ha ritratta con una camelia rossa dietro l’orecchio. I quasi due milioni e mezzo di follower sul social network la conoscono bene perché lui ne parla spesso. Da anni la signora Enid soffre di Alzheimer e il nipote, ogni volta che gli impegni sul set glielo permettono, se ne occupa come caregiver. Di recente Evans ha raccontato come l’ascolto del suo album di debutto le abbia fatto ricordare il nipote in maniera meno confusa. «Mi alza il pollice, sorride, sembra quella di una volta – dice Evans – e ho scoperto che davvero una melodia può aiutare le persone affette da demenza a ritornare in contatto con emozioni o ricordi e al tempo stesso essere maggiormente presenti».

Quali ricordi condivide con sua nonna?
«Si è sempre presa cura di me, in particolare perché sono il primo nipote, mi ha sempre protetto, coccolato e accudito e ora è il mio turno di prendermi cura di lei».