Archive for December 31, 2019

Dopo Natale vietato sprecare: come «riciclare» gli avanzi in sicurezza

Dove mettere i cibi e come scongelarli

Dal momento della pianificazione del menu a quello dell’acquisto, fino alla gestione degli avanzi, sono tanti gli accorgimenti che aiutano a evitare sprechi. Puntare più sulla qualità che sulla quantità, comprare solo quanto è necessario, tener conto che le dosi da prevedere per ciascun commensale dipendono anche dal numero delle portate previste, sono solo alcuni esempi. Tuttavia, un aspetto fondamentale riguarda la sicurezza, perché il contenimento degli sprechi non può prescindere dalla importanza di evitare rischi. Quali sono, quindi, gli accorgimenti più importanti da adottare? «Il primo consiglio — chiarisce Mosè Giaretta, esperto di sicurezza alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie — riguarda l’importanza di dosare bene i cibi che per caratteristiche e composizione costituiscono un terreno favorevole alla crescita di patogeni che potrebbero causare tossinfezioni alimentari. Ci riferiamo in particolare a quei prodotti freschi che devono essere conservati in frigorifero, come latte, formaggi, uova, carne, pesce, salse e creme a base di uova crude o latticini». «Un altro aspetto da non sottovalutare — aggiunge Giarretta — è il tempo di permanenza fuori dal frigorifero. Evitiamo di lasciare questi prodotti a temperatura ambiente troppo a lungo, altrimenti favoriamo la proliferazione microbica. Congelare gli avanzi è uno dei modi migliori per bloccare lo sviluppo dei batteri. Per farlo in modo corretto, prepariamo porzioni piccole e usiamo contenitori alimentari in vetro plastica o sacchetti freezer, non carta e cartone. Quando riutilizziamo gli avanzi refrigerati o scongelati, è importante riscaldarli in modo uniforme almeno a 75°C per qualche minuto. Così si abbattono i patogeni eventualmente presenti».

Mettere il «cibo sano» fra i dolcetti: è un buon trucco per farlo scegliere

Approcci diversi

«Con un confronto uno a uno, quasi tutti hanno optato per la golosità — riferisce il coordinatore dell’indagine, il neurologo e psicologo Scott Huettel dell’americana Duke University —. Abbiamo però ripetuto il test “abbinando” gli alimenti: in un caso abbiamo proposto l’accoppiata salmone o biscotti; nell’altro i biscotti o un dolcetto. I volontari hanno dovuto scegliere fra queste due coppie sapendo però che avrebbero potuto mangiare solo uno dei due cibi proposti nell’abbinamento e di avere perciò il 50 per cento di probabilità, una volta deciso, di ricevere o l’uno o l’altro cibo che ne faceva parte». Quindi, chi propendeva per la coppia di dolcetti era certo che ne avrebbe mangiato almeno uno, chi optava per quella in cui c’era anche il salmone poteva ricevere quello e dire addio alla leccornia. Ebbene, nonostante il rischio di dover mangiare un alimento meno stuzzicante, la maggioranza dei partecipanti (il doppio rispetto a chi ha fatto la scelta opposta) ha optato per l’accoppiata in cui c’era il salmone.

Chiara soffre di esostosi multipla: «Così ho superato il limite d’età»

Ha 19 anni appena compiuti e soffre di esostosi multipla ereditaria, malattia rara degenerativa che colpisce l’apparato ostearticolare. Da quando è nata, è stata operata ben 23 volte. «Nel mio corpo – racconta Chiara Racanelli – crescono più masse di cartilagine del normale e si sviluppano protuberanze (esostosi) che bloccano la crescita delle ossa e strozzano i nervi, per cui devo operarmi spesso, anche d’urgenza, per ristabilire le funzioni articolari o liberare i nervi». In Puglia, dove risiede, non ci sono centri specializzati per il trattamento chirurgico della patologia, quindi è costretta a viaggiare per curarsi a Milano, in uno dei pochissimi ospedali italiani dove eseguono questo tipo di intervento.

La petizione

A livello nazionale non esiste una legge che sancisca il diritto al rimborso dei costi extra-sanitari per i malati rari obbligati a spostarsi fuori Regione per ricevere le cure necessarie, non potendo usufruirne nella propria; quindi, spetta alle Regioni stabilire con propri provvedimenti se e come prevedere rimborsi. Fino a pochi giorni fa, una legge del 2005 della Regione Puglia prevedeva il rimborso dei costi sostenuti per viaggi, vitto e alloggio solo per i malati rari fino a 18 anni. L’estate scorsa, Chiara ha promosso una petizione su Change.org, che ha raccolto circa 180mila firme, per chiedere alle istituzioni locali di estendere questo diritto a tutti i malati rari. Grazie alla sua battaglia, pochi giorni fa la Regione ha abolito il limite di età, «anche se non è stato facile giungere a questo traguardo e ci sono dettagli tecnici ancora da chiarire con le istituzioni» dice Chiara, che aggiunge: «Non ho scelto di curarmi fuori Regione ma sono obbligata a farlo; crescendo, mi sono resa conto che comporta dei costi non indifferenti per la mia famiglia, come per tante altre. Per questo, mi ero ripromessa di lanciare una petizione subito dopo l’esame di maturità: purtroppo, la malattia non sparisce quando diventi maggiorenne, ma ti accompagna per tutta la vita. E il diritto alla salute dei malati rari non ha una scadenza».

Gli anziani possono disidratarsi anche in inverno (ed è un rischio)

Non fa caldo, anzi, e di certo non si suda. Disidratarsi sembra impossibile in inverno, eppure agli anziani capita eccome: secondo dati diffusi dalla Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo (www.sinuc.it) il 20-30 per cento degli over 65 è cronicamente disidratato.

Mancanza di sete

Uno dei motivi principali è la mancanza della sete, uno stimolo che tende a decrescere con l’età e che impone quindi di ricordarsi di bere. Inoltre negli anni i reni tendono a perdere la capacità e l’efficienza a trattenere l’acqua, mentre il volume urinario aumenta se c’è un diabete non diagnosticato o non controllato, come spesso capita agli anziani; come se non bastasse invecchiando si perde anche tessuto muscolare, uno dei tessuti corporei più ricchi di acqua (circa un ultrasessantenne su tre ha una perdita muscolare grave, secondo le stime più recenti). Per di più gli anziani con ipertrofia prostatica o incontinenza urinaria cercano di bere il meno possibile, per limitare al massimo il disagio di dover andare al bagno molto spesso; chi infine soffre di disturbi neurodegenerativi ha un alto rischio di non bere a sufficienza e come sottolinea Maurizio Muscaritoli, presidente SINuC, «la disidratazione va riconosciuta presto e bene, perché basta che arrivi al 2 per cento del peso corporeo per dare disturbi cognitivi come confusione, disorientamento, perdita di forza, coordinazione e delle funzioni cognitive in generale. Con conseguenze che possono essere gravi e vanno da cadute a traumi, da danni a reni e muscoli a un maggior rischio di contrarre infezioni».

Parkinson, non soltanto farmaci

Come tutte le malattie neurodegenerative, nelle quali certe parti del cervello smettono di funzionare in maniera fisiologica, la malattia di Parkinson è una scommessa per il futuro di una società che invecchia, dato che suo principale fattore di rischio è l’età. Oltre ai farmaci, per la malattia di Parkinson esistono altre forme di supporto. Se ne è parlato nel corso dell’incontro «Parkinson corpo & anima», che si è tenuto di recente a Roma, promosso dalla Fondazione Limpe presieduta da Pietro Cortelli dell’Irccs Scienze neurologiche di Bologna, a cui hanno partecipato medici, pazienti e caregiver. «Chi è malato di Parkinson ha ancora molti bisogni non soddisfatti – ha sottolineato Cortelli -. Mancano sistemi diagnostici molto precoci, semplici da usare, per individuare in anticipo persone a rischio. Carenze ci sono anche sul versante terapeutico: non abbiamo terapie che limitino i meccanismi di “invecchiamento selettivo” di alcune parti del cervello, impedendo alla malattia di manifestarsi, né terapie sintomatiche facili da usare e meno invasive di quelle attuali».

I bisogni dei pazienti

Molto importante è la presa in carico globale. «Bisogna affrontare i molteplici problemi, causati direttamente dalla malattia o che ne conseguono in maniera indiretta – aggiunge lo specialista -. Una presa in carico realizzabile solo all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, che offre una copertura universalistica dei bisogni del paziente. Per questo dobbiamo disegnare specifici percorsi di accesso facili da seguire. Ma anche il ruolo delle associazioni dei pazienti, di chi sperimenta la malattia sulla sua pelle è cruciale. Dico sempre ai miei studenti che si impara di più ascoltando parlare cento malati che leggendo cento libri. Infatti ognuno di loro ci aiuta a comporre lo spettro totale dei bisogni dei pazienti. Ma nostro compito è anche far sì che le associazioni dei pazienti non siano esposte a fenomeni di manipolazione, come è accaduto di recente in Francia, quando è stata attivata una sperimentazione non adeguatamente regolamentata. Infine, dobbiamo tutti vigilare sulle fake news, e talvolta solo il filtro delle conoscenze di un esperto può svelarle».

Glaucoma, retinopatia, maculopatia Controlli gratuiti per salvare la vista

Sono oltre 1500 le visite oculistiche gratuite già effettuate nelle piazze di 9 città, in Lombardia, Campania e Abruzzo, nell’ambito della campagna nazionale «Vista in salute» per la prevenzione delle malattie della retina e del nervo ottico, in particolare di glaucoma, retinopatia diabetica e maculopatie. L’iniziativa itinerante, che farà tappa in tutta Italia fino al 2021, è gestita dall’Agenzia Internazionale per la prevenzione della Cecità-IAPB Italia onlus, su incarico del Ministero della Salute, grazie alle risorse stanziate dalla Legge di Bilancio 2019. Ebbene, i risultati preliminari degli esami fatti a 555 persone, presentati alla Camera dei Deputati, evidenziano che più di quattro su dieci presentano malattie oculari in atto o sospette, o segni clinici da approfondire con ulteriori accertamenti. Grazie ai controlli effettuati, queste persone potranno salvare la vista.

Diagnosi precoce

«La percentuale elevata di persone affette o a rischio di patologie, come glaucoma, retinopatia diabetica e maculopatie, anche se rappresentativa di un campione casuale, ci fa comprendere quanto diffuse siano le minacce per la nostra vista di cui, purtroppo, non siamo consapevoli – dice l’avvocato Giuseppe Castronovo, presidente di IAPB Italia onlus -. Con la campagna nazionale di prevenzione speriamo di evitare l’ipovisione e la cecità a molte persone grazie alla diagnosi precoce, che consente di individuare tempestivamente queste malattie e, allo stesso tempo, permette allo Stato di risparmiare. La vista – lo dico da non vedente – rappresenta la libertà, l’autonomia, la gioia, ed è un bene prezioso che va preservato».

Tumori, ci sono nuove prospettive di cura per il linfoma mantellare

Si aprono nuove prospettive per le persone colpite da linfoma mantellare, un tumore del sistema linfatico relativamente poco frequente, ma fra i più difficili da trattare, con una significativa quota di casi che non rispondono alle cure («refrattari») o che possono ripresentarsi («recidivare») anche dopo parecchi anni. Quando si verificano queste due condizioni per ora non si può fare ricorso a trattamenti efficaci. Al congresso dell’American Society of Hematology in corso a Orlando (Florida) sono stati però presentati dati molto incoraggianti per il trattamento di questo tumore. Nello studio Zuma-2, una infusione con KTE-X19, una terapia sperimentale che rientra fra le Car-t, ha ottenuto risposte positive nel 90 per cento dei casi trattati e risposte complete nel 67 per cento dei casi. Si tratta di uno studio tecnicamente di fase II, su un numero limitato di pazienti (60).

Nuove opzioni terapeutiche

«Tuttavia i risultati sono decisamente interessanti considerato che i malati sono stati seguiti per oltre un anno, che in circostanze come queste è un tempo già parecchio significativo» spiega il professor Fabio Ciceri, direttore del dipartimento di Oncoematologia dell’Ospedale IRCCS San Raffaele di Milano e presidente del Gitmo (Gruppo Italia o Trapianto di Midollo Osseo). «Esiste una forte necessità di nuove opzioni terapeutiche per i pazienti con linfoma mantellare, in particolare quelli in cui la malattia è progredita nonostante diverse linee di trattamento precedenti – ha commentato Michael Wang, che ha diretto lo studio Zuma-2 e che è a capo del Department of Lymphoma and Myeloma dell’M. D. Anderson Cancer Center (Università del Texas) -. I tassi di risposta osservati supportano il potenziale di questo approccio come prima terapia cellulare per le persone affette dalla malattia». Fra gli effetti collaterali sono stati osservati sindrome da cascata da citochine ed eventi neurologici nel 91% e nel 63% dei soggetti trattati, ma quelli neurologici di grado 5, cioè i più severi, in nessun caso.

Il test da carico di glucosio «prevede» chi diventerà diabetico

Per una diagnosi migliore

«I dati mostrano che un valore di glicemia superiore a 209 mg/dl dopo un’ora dal carico di glucosio può identificare con grande accuratezza i pazienti con diabete: ha un’ottima sensibilità e specificità, perciò potrebbe superare le discrepanze che si possono avere misurando la glicemia a digiuno, l’emoglobina glicata o facendo il test da carico sulle due ore», spiega Giorgio Sesti, presidente della Fondazione Diabete Ricerca di SID e coautore dello studio. «Dati italiani mostrano infatti che il 47 per cento dei pazienti che si diagnosticano come diabetici col test dell’emoglobina glicata non lo sarebbero con il test a due ore di carico orale di glucosio, mentre il 54 per cento di chi ha la diagnosi con quest’ultimo test non risulta diabetico stando ai valori di emoglobina glicata». Discrepanze che vengono superate misurando la glicemia un’ora dopo il carico di glucosio, rendendo peraltro il test più rapido e quindi agevole da eseguire. «I dati mostrano chiaramente che oltre a poter fare bene la diagnosi di diabete, con questo test si riescono a individuare anche i casi di pre-diabete: un valore di glicemia superiore a 155 mg/dl dopo un’ora dal carico di glucosio identifica i pre-diabetici e i soggetti con una normale tolleranza al glucosio ma un rischio elevato, che finora sono rimasti ‘invisibili’ alle strategie di prevenzione», conclude Sesti.

Colesterolo alto, a rischiare infarto e ictus sono soprattutto gli under 45

Il commento dell’esperto

«Questo studio ha un grosso impatto, in quanto sottolinea l’importanza del dosaggio del colesterolo (e nello specifico del colesterolo NON-HDL) in prevenzione primaria, soprattutto in soggetti giovani (<45 anni di età)» commenta Giulio Melisurgo, cardiologo al San Raffaele di Milano . «Identificare soggetti giovani con aumentati livelli di colesteralo “cattivo” rappresenta ormai inequivocabilmente un campanello di allarme che deve spingere ad eseguire approfondimenti per determinare il livello di aterosclerosi a livello delle arterie. Attualmente questo può essere valutato in maniera non invasiva a livello carotideo, mediante ecoDoppler vascolare, o a livello coronarico, mediante TAC coronarica. In base all’esito di tali esami verrà identificato il trattamento più appropriato: si parte dal consiglio di modificazioni dello stile di vita incrementando l’attività fisica aerobica e correggendo abitudini alimentari sbagliate, fino alla prescrizione, se necessario, di natraceutici e farmaci ipolipemizzanti».

Che cosa sono i Nets, tumori neuro-endocrini «silenziosi»

Sono rari e «silenziosi», perché solo in due casi su 10 danno sintomi specifici. Con conseguenze che possono essere gravi, perché per due terzi dei pazienti colpiti dai tumori neuroendocrini i ritardi nella diagnosi arrivano fino a sette anni. In Italia, ogni 12 mesi, sono stimati circa 2.700 casi di queste neoplasie, classificate come rare perché interessano meno di sei persone ogni 100mila abitanti. Il nostro Paese è al vertice in Europa per numero di centri certificati dalla Società Europea dei tumori neuroendocrini: sono ben otto in Italia gli ospedali riconosciuti come competenti e uno dei criteri indispensabili per ottenere il riconoscimento è la soglia minima di casi da trattare ogni anno, pari a 80.

Interessano soprattutto il tratto gastro-entero-pancreatico ai polmoni

A queste patologie eterogenee e difficili da individuare e gestire è stato dedicato un incontro nei giorni scorsi a Milano. «I tumori neuroendocrini (anche noti come NET, Neuro-endocrine Tumors) possono insorgere in numerosi organi: nel 60 per cento dei casi, si sviluppano a livello del tratto gastro-entero-pancreatico, dove la componente cellulare neuroendocrina è più diffusa, interessando l’intero tratto dall’esofago al retto, incluso il pancreas – spiega Massimo Falconi, presidente di Itanet (Associazione Italiana per i Tumori Neuroendocrini) e direttore del Centro del Pancreas dell’IRCCS Ospedale San Raffaele -. La seconda sede più frequente è rappresentata dal tratto broncopolmonare (25 per cento dei casi)».

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