Archive for October 30, 2017

Come trovare un infermiere con i requisiti in regola. Evitando rischi

Perché cresce la richiesta di prestazioni infermieristiche private?
«Tutto ciò che è “continuità assistenziale”, fuori dagli ospedali e sul territorio, è ancora quasi sempre organizzato dai pazienti con le proprie forze. Sul territorio mancano almeno 30 mila infermieri per poter garantire prestazioni offerte dal Servizio sanitario (quindi senza doverle pagare privatamente, ndr). La domanda è esplosa e continuerà a crescere con l’aumento dell’età, della non autosufficienza, delle malattie croniche. Ed è consistente anche in area pediatrica perché il servizio pubblico non è in grado di rispondere al bisogno di assistenza che spesso i più piccoli hanno dopo il parto».
Come trovare l’infermiere quando serve?
«Attraverso il Collegio degli infermieri che gestisce gli iscritti della provincia di appartenenza e, di solito, pubblica anche sul proprio sito istituzionale l’elenco dei liberi professionisti e degli studi associati. Si può anche chiedere alle farmacie e ai medici di medicina generale, o cercare gli ambulatori infermieristici di liberi professionisti che ormai sono diffusi sul territorio e garantiscono un’assistenza professionale e di qualità».
L’infermiere libero professionista è affidabile?

«Certo, ma proprio per dare maggiori garanzie ai cittadini, l’anno scorso abbiamo presentato uno strumento di accreditamento per la libera professione, una sorta di “bollino Ipasvi” in grado di certificare le competenze del professionista. A breve sarà disponibile un manuale che consentirà agli infermieri liberi professionisti di accreditarsi volontariamente, secondo schemi che mettono in risalto le loro capacità e la qualità del servizio offerto».
Negli ultimi anni quasi un italiano su due ha pagato «in nero», la prestazione privata ricevuta.
Come si spiega?
«Il sommerso della spesa privata per infermieri non è un fatto eccezionale, anche se va professionalmente e fiscalmente evitato, ma una variante della più ampia nuova spesa sommersa delle famiglie per accedere a servizi di welfare: un modo per i cittadini di trovare nel privato, a prezzi sostenibili, servizi e prestazioni che non trovano nel pubblico, se non altro per tempi di accesso troppo lunghi».
Perché molti italiani si rivolgono a figure diverse dagli infermieri, nonostante i rischi che questo comporta?
«Chi si affida a badanti e familiari per interventi a carattere sanitario, come terapie farmacologiche, iniezioni, bendaggi, medicamenti, gestione di un catetere, corre il rischio di finire al Pronto Soccorso per danni alla salute che altrimenti non si sarebbero verificati. Lo dimostrano i dati: su circa il 10% di accessi ripetuti in Pronto Soccorso il 5-6% è dovuto a interventi inappropriati, fatti da chi non è in grado. In particolare, le persone non autosufficienti e i malati cronici, al di là della diagnosi e della prescrizione della terapia, richiedono un’assistenza costante e, soprattutto, di qualità, garantita da professionisti adeguati».
In futuro gli italiani vorrebbero un’offerta potenziata di infermieri sul territorio: sarà possibile?
«La forte richiesta di un infermiere di famiglia convenzionato, in analogia con i medici di famiglia, rende l’idea dei veri bisogni di assistenza dei cittadini. Ma, volendo essere realisti, visto che Governo e Regioni attualmente hanno scarse risorse economiche, l’infermiere di famiglia può essere anche un dipendente cui sono affidati servizi sul territorio , il che presuppone comunque un aumento, o meglio un reintegro, degli organici. Di esperienze di infermiere di famiglia ce ne sono in Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Trentino, ma anche nel Sud, in Campania, Basilicata e Molise. Ovunque hanno riscosso la massima soddisfazione dei cittadini. Quanto all’infermiere in farmacia – sperimentato in diverse Regioni -, si tratta di applicare le norme già in vigore che prevedono nella “farmacia dei servizi” spazi dedicati a prestazioni che possono essere offerte dagli infermieri».

Tumore del rene: 3 sintomi-chiave (ma 6 casi su 10 scoperti per caso)

Sei casi su dieci vengono scoperti per caso

«Oltre la metà dei pazienti diagnosticati in fase precoce guarisce completamente – chiarisce Giario Conti, segretario nazionale della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO) e responsabile dell’Urologia al Sant’Anna di Como -: per questo è importante riconoscere i sintomi, che sono sostanzialmente tre: ematuria, ovvero la presenza di sangue nelle urine, che è spesso il primo segno di malattia e può manifestarsi all’improvviso, scomparire spontaneamente per poi ripresentarsi di nuovo; dolore sordo al fianco o spasmi tipo colica, causati dalla presenza di coaguli di sangue lungo la via urinaria (pelvi renale e uretere); presenza di una massa palpabile nella cavità addominale a livello del fianco». Le coliche, come l’ematuria, sono sintomi comuni anche alla calcolosi renale: senza allarmarsi troppo è però importante parlare con un medico, che prescriverà eventuali approfondimenti necessari. «Il 60 per cento dei casi, però, oggi viene individuato casualmente con un’ecografia addominale eseguita per altri motivi e in assenza di sintomi – aggiunge Conti -. È comunque fondamentale farsi curare da un team multidisciplinare (costituito da urologo, oncologo, anatomopatologo, radiologo e altri specialisti a seconda del singolo caso) che elabora il piano di trattamento tenendo conto di vari fattori quali l’età e le condizioni generali del paziente, il tipo e lo stadio del tumore, la presenza di malattie concomitanti ed eventuali farmaci associati».

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