Le tre ore che seguono i primissimi sintomi dell’ictus sono cruciali: arrivare prima possibile, o comunque entro questo lasso
di tempo, in ospedale per ricevere le prime cure significa poter ridurre al minimo i danni o addirittura tornare alla condizione normale pre-ictus. Secondo una ricerca americana molte persone giovani rischiano di dare poco peso ai primi sintomi
Archive for December 30, 2016
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Medicina personalizzata per i tumori del sangue: si parte in Lombardia
Percorsi diagnostici e assistenziali
La Rete Ematologica Lombarda (REL) è un piccolo gioiello del Sistema Sanitario Nazionale. Nata nel 2008, riunisce oltre 100 Centri della Regione che assistono, con differenti livelli di complessità, i pazienti con malattie del sangue (leucemie acute, leucemie croniche, linfomi, mielomi, anemie e sindromi mielodisplastiche, malattie mieloproliferative croniche, malattie della coagulazione). «Al centro della rete c’è il singolo paziente con i suoi bisogni clinici ed assistenziali: l’obiettivo è garantire a ciascuno, in modo uniforme sul territorio regionale, l’accesso alle più aggiornate prestazioni diagnostiche e terapeutiche con continuità assistenziale in tutto il percorso di cura – sottolinea Enrica Morra -. Ciò è possibile attraverso l’integrazione tra ospedali e servizi sul territorio. Abbiamo creato percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali omogenei e li abbiamo diffusi su tutto il territorio regionale, abbiamo messo a punto registri epidemiologici che offrono dati sempre aggiornati sull’andamento delle malattie del sangue e sull’efficacia delle politiche sanitarie in questo ambito. La REL inoltre è in prima fila nella diffusione di cultura medica e nella valorizzazione dell’appropriatezza nella prescrizione dei farmaci. In un periodo di costi crescenti, questa è la strada per garantire sostenibilità e liberare risorse per l’innovazione farmacologica».
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La campagna
Il primo ha per protagonista Melissa Mead, che mostra in silenzio cartelli che spiegano dettagliatamente i sintomi della malattia e invita i genitori a intervenire con tempestività. Perché salvarsi dalla sepsi è possibile e spesso accade grazie alla consapevolezza dei genitori. Come nel caso di Jenny Taft, commercialista 28enne che pochi giorni fa è stata in grado di riconoscere la malattia e di salvare la vita del suo piccolo Freddie. Ai giornali ha raccontato che il merito va a Melissa Mead, di cui mamma Jenny aveva letto la storia. Di fronte al proprio bimbo febbricitante e non reattivo, la Taft si è ricordata di William, dei rischi della sepsi ed è corsa in ospedale. La campagna promossa dal ministero servirà proprio a informare i genitori e a spingerli ad intervenire. A lanciarla nei giorni scorsi è stato il ministro della salute Jeremy Hunt, che ha spiegato pubblicamente come, avendo tre figli piccoli, sia stato particolarmente toccato dai racconti dei genitori che hanno perso i loro piccoli per via di questa patologia. «Sono rimasto sconvolto quando ho saputo per la prima volta della storia di Melissa Mead – ha detto il ministro – e ho pensato che questa campagna fosse fondamentale». Il progetto prevede la sensibilizzazione dei genitori dei bimbi fino a quattro anni, informazioni approfondite ai medici e sedute di aggiornamento sull’argomento e uno schema di intervento tempestivo fin dai primi sintomi. Per evitare che la storia di William si ripeta.
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Chi è più a rischio di avere forme aggressive
«Le nuove tecnologie e gli studi sempre più approfonditi sul Dna – chiarisce Di Maio – ci stano aiutando a comprendere cose che finora ci sfuggivano e catalogavamo come “sfortuna”, in attesa di saperne di più. Come, per esempio, perché ci sono tumori piccolissimi che diventano molto aggressivi e danno metastasi, mentre altri di grande volume non ne danno. O perché, a volte, ci sono metastasi senza che il tumore primario si sia formato. Ci è più chiaro il meccanismo di controllo delle cellule malate e della loro proliferazione, la biologia dei diversi tumori, quali sono i geni coinvolti con un ruolo-chiave. Lo scopo è chiaramente riuscire a capire meglio chi è più a rischio di avere forme aggressive, ricadute, metastasi, per poter prescrivere subito la terapia più adeguata. Resta il fatto – conclude l’esperto – che la diagnosi precoce è fondamentale e nella stragrande maggioranza dei casi individuare un tumore piccolo, in fase iniziale, significa salvarsi la vita. Come dimostra il miglioramento della sopravvivenza nelle donne con cancro al seno, che oggi sfiora il 98 per cento. Tuttavia dopo l’intervento chirurgico non sappiamo quali pazienti “andranno male” e con queste nuove scoperte possiamo invece valutare meglio la probabilità e calcolare chi necessita di trattamenti più intensi o con determinati farmaci».