Archive for November 29, 2016

Maxi studio conferma: i grassi saturi fanno male, sale il rischio di infarto

Alimentazione il più possibile varia

I quattro acidi grassi saturi analizzati nello studio sono i più diffusi e tutti sono presenti in margarina, burro, strutto, olio di palma, di cocco e di palmisti. «Che i grassi saturi facciano male, se assunti in eccesso, è ormai fuor di dubbio – prosegue Erzegovesi – e questo studio ha il pregio di aver correlato il loro consumo con un dato preciso, la mortalità per cause cardiovascolari. Detto questo, sarebbe sbagliato eliminarli completamente dalla nostra dieta e, più in generale, è sbagliato farsi venire l’ossessione per un singolo nutriente. L’indicazione è quella di limitarli, con una dieta il più possibile varia. Inoltre bisogna ricordare che il tipo di alimentazione va parametrato al tipo di vita che si fa: un bambino ha determinate esigenze, così come chi vive al freddo e chi svolge un’intensa attività fisica. I bambini piccoli bevono latte intero e mangiano parmigiano, alimenti che contengono molti grassi saturi ma che sono utilissimi nella fase di crescita. Così come gli eschimesi assumono grasso di foca per proteggersi dal freddo. Certamente una persona mediamente sedentaria che vive in un clima temperato, ovvero il tipo di soggetto analizzato nello studio, dovrebbe adottare la dieta mediterranea con pochi grassi saturi, privilegiando olio di oliva, cereali integrali e legumi».

Siete sedentari o super sportivi? Potrebbe dipendere dai vostri geni

Gratificazione mancante

La maggior parte delle persone ricevono una gratificazione (anche mentale) dal praticare sport, sotto forma di un aumento dei livelli di dopamina. Alcune persone non sentono questi benefici a causa di geni che interferiscono con il rilascio della sostanza, sostiene lo studio coordinato da Rodney Dishman, professore di kinesiologia presso l’University of Georgia, presentato al meeting dell’American Physiological Society di Phoenix. Il Dna aiutare a spiegare perché alcune persone hanno un bisogno naturale di essere attive, mentre altre non lo hanno». Dishman e i suoi colleghi hanno iniziato a studiare topi da laboratorio allevati selettivamente per essere attivi o inattivi. Hanno riscontrato che i due gruppi differivano riguardo ai singoli geni connessi con l’attività della dopamina. Gli stessi risultati sono emersi dallo studio effettuato su 3mila adulti.

Emilia Romagna: all’asilo nido soltanto i bambini vaccinati

ROMA - «No vaccino, no nido». L’Emilia-Romagna arriva per prima e reintroduce senza tentennamenti l’obbligo di proteggere i bambini all’inizio del percorso educativo. Un grande consenso ha sostenuto la legge passata ieri in Consiglio, con l’astensione di Sel e centrodestra. Contrari i Cinque Stelle. Ha prevalso un concetto: «Tu, genitore, sei libero di scegliere, ma non di mettere a repentaglio la vita dei compagni di tuo figlio». L’assessore alla sanità Sergio Venturi è molto soddisfatto: «Noi siamo stati sempre convinti di tenere la linea dura. La situazione è critica. Non vogliamo rivedere malattie scomparse. Altre Regioni dovrebbero seguire il nostro esempio perché il rischio è alto. La comunità medica e le famiglie sono d’accordo». L’obbligo riguarda le quattro punture base, difterite, poliomelite, tetano ed epatite B, offerte in un’unica soluzione. Le altre presenti nel calendario dell’infanzia sono definite «raccomandate», ma non perché ritenute meno importanti. Di morbillo e pertosse si può morire.

Quante ore si deve (davvero) dormire? Non è solo una questione di tempo

Il corpo ci fa capire se dormiamo poco

Pare che anche alcuni tratti genetici possano spiegare la capacità di sentirsi freschi e riposati dopo quattro ore di sonno, ma come spiega Federica Provini, segretario dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS), «I veri, brevi dormitori sono pochi e si riconoscono perché pure in vacanza o nei fine settimana, quando sono liberi dagli impegni, dormono pochissimo. La giusta dose di sonno per ciascuno si può capire proprio quando non si deve puntare la sveglia: se tendiamo a stare di più a letto significa che cerchiamo di recuperare un deficit». «Se stiamo dormendo poco ce ne accorgiamo dalla qualità della veglia: una sonnolenza continua, difficoltà di concentrazione e attenzione, piccoli deficit di memoria sono il segno che il riposo è troppo breve — aggiunge Nobili —. Anche il pisolino pomeridiano può contribuire alla dose di riposo giusta, basta che sia espressione di un’abitudine personale e non di un bisogno incoercibile, magari sentito più volte al giorno: nel secondo caso è spia di un sonno che non funziona al meglio. Attenzione poi al recupero da weekend: dormire troppo a lungo può rendere più difficile addormentarsi la sera dopo, peggiorando la situazione». Ciò che conta insomma è trovare il proprio ritmo, quello che ci fa “funzionare” bene di giorno, senza preoccuparsi troppo della regola delle otto ore che sono solo una media generale. «Il giusto sonno, poi, andrebbe anche collocato in maniera corretta nell’arco delle 24 ore — specifica Provini —. Il riposo infatti va sincronizzato con il proprio orologio biologico: i ritmi di ormoni, temperatura corporea, frequenza cardiaca, pressione e via dicendo devono “andare d’accordo” con quello del sonno e con il ciclo luce/buio».

Contrordine, niente 10 mila passi Per stare in salute ne bastano 3000 (ma a ritmo sostenuto)

Lo studio su 3400 volontari

Lo studio ha seguito poco meno di 3.400 volontari di cui sono state misurate le “performance” di cammino e soprattutto parametri di rischio cardiometabolico come la circonferenza della vita, la pressione arteriosa, i livelli di glucosio e insulina, la glicemia a digiuno. Schuna inoltre non ha contato solo il numero di passi al giorno, ma anche il numero medio di passi nei trenta minuti quotidiani, non necessariamente consecutivi, in cui ciascuno aveva fatto movimento in maniera più intensa. I risultati indicano che la meta dei diecimila passi è un’utopia per la maggioranza delle persone, ma anche che tremila passi ad andatura spedita sono un obiettivo più alla portata di tutti che garantisce effetti protettivi sui fattori di rischio cardiovascolari, oltre ad aiutare in un eventuale dimagrimento.

Il robot può servire il sala operatoria Ma il chirurgo deve essere esperto

Nella chirurgia tradizionale

Una frenata agli entusiasmi che non è del tutto condivisa nel nostro Paese, dove l’esperienza con il robot-chirurgo, il famoso da Vinci, è fra le maggiori. «Se a operare in modo tradizionale è un luminare il risultato è ugualmente buono, ma nella media la chirurgia aperta provoca sequele con un impatto sulla qualità di vita del paziente, come il rischio di impotenza e incontinenza — osserva Ottavio De Cobelli, direttore della Divisione di Urologia all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, al primo posto in Italia per numero di interventi robot-assistiti sulla prostata —. Con il robot la probabilità scende perché lo strumento consente di ingrandire varie volte l’immagine del campo operatorio, che risulta nitido e pulito, e di compiere movimenti impossibili per la mano umana». «L’intervento robotico è rapido e così preciso da ridurre moltissimo il rischio di recidive, perché grazie a una visione amplificata del campo operatorio ci si assicura che venga asportato tutto il tessuto malato — conferma Vincenzo Mirone, segretario della Società Italiana di Urologia —. Accanto agli ottimi risultati in termini di sopravvivenza senza malattia, la tecnica robotica evita l’incontinenza, che è un problema per il 5% dei pazienti operati a cielo aperto. Inoltre, grazie a una maggior capacità di risparmiare i fasci nervosi che regolano l’erezione, è molto utile nei pazienti con tumore alla prostata che hanno un’erezione efficiente e vogliono conservarla per una buona vita sessuale anche dopo l’intervento, per esempio gli uomini più giovani; con la chirurgia standard la probabilità di deficit erettivi arriva al 60% nel primo anno dall’operazione».

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