Archive for September 29, 2016

Gli antidolorifici assunti in alti dosaggi fanno male al cuore Lo studio su 10 milioni di persone

I farmaci

Negli utilizzatori in tempi recenti, cioè da meno di due settimane, di un qualunque farmaco antinfiammatorio non steroideo è stato riscontrato un rischio di ricovero maggiorato del 19% rispetto a chi aveva utilizzato per l’ultima volta uno di questi farmaci più sei mesi prima. Ogni analgesico, inoltre, è associato a un rischio diverso che cambia a seconda del dosaggio. Gli esperti hanno evidenziato l’esistenza di un nesso tra uso di analgesici e rischio cuore, in particolare per sette Fans tradizionali (diclofenac, ibuprofene, indometacina, ketorolac, naproxene, nimesulide, piroxicam) e due COX2 inibitori (toricoxib e rofecoxib). L’aumento di rischio di ricovero ospedaliero variava dal 16% per il naprossene all’83% per il kertolac.

Elisabetta Gregoraci testimonial per la lotta contro il tumore al seno

Visite e controlli gratuiti

Per tutto il mese di ottobre i 400 Spazi prevenzione (ambulatori plurispecialistici) della Lilt, con le sue 106 sezioni provinciali, saranno a disposizione gratuitamente per informazioni, visite senologiche e controlli diagnostici clinico-strumentali. Inoltre alcuni importanti monumenti, edifici, fontane, piazze, verranno illuminati con una luce rosa, colore simbolo della lotta contro il tumore al seno. È poi attivo il numero verde “Linea SOS Lilt“ (800.998877), con chiamata anonima e gratuita. Un’équipe di esperti, composta da giuristi, medici e psicologi, risponde dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 15 e offre supporto per iter burocratici, informazioni medico e centri oncologici. «Nel 2022 la Lilt celebrerà i 100 anni di attività e vorrebbe festeggiarli con la vittoria sul cancro – ha detto Francesco Schittulli -. Con questo spirito ci sentiamo di dichiarare una guerra vincente al cancro, senza morti o prigionieri: un inno alla speranza e alla vita in una guerra difficile, non breve, ma certamente vittoriosa se sapremo prenderci cura del nostro ambiente. Questo perché oggi conosciamo l’importanza dei fattori ambientali, tant’è che definiamo il cancro “una malattia ambientale su base genetica”. Lavoreremo quindi insieme affinché i circa 3 milioni di uomini e donne italiani vivi dopo un tumore possano serenamente convivere con questa malattia, come se si trattasse di una patologia cronica, paragonabile all’artrosi, al diabete, all’ipertensione, e perché la guaribilità si possa avvicinare sempre più al nostro obiettivo finale: mortalità zero per il cancro».

Cleptomania, un disturbo per cui si rubano cose inutili e senza valore

Oggetti senza valore

«A differenza di ladri e rapinatori, il cleptomane sottrae oggetti privi di utilità personale e a volte anche di valore -, spiega Gianluigi Mansi, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile dell’unità operativa di Psichiatria degli Istituti clinici Zucchi, gruppo ospedaliero San Donato -, prediligendo quelli di piccole dimensioni, come rasoi, rossetti, cd, facili da occultare nelle tasche o in borsetta». Dopo averla fatta franca, chi soffre di questo disturbo accumula gli oggetti rubati o li butta via, in alcuni casi addirittura li restituisce. Perché ciò che conta non è l’oggetto in sé, ma ciò che prova nell’appropriarsene in modo indebito. Infatti, «il momento del furto, preceduto da una crescente tensione, è fonte di piacere e gratificazione, spesso intensificati dal rischio – dice Mansi -. Il sollievo però dura poco e presto sopraggiungono senso di colpa e rimorso». Che spingono a commettere nuovi furti, in un circolo vizioso sempre più pericoloso.

Sale il numero di chi usa le e-cig (e anche di chi smette di fumare)

In Italia è cresciuto il numero di chi «svapa»

Secondo le stime, 2,8 milioni di abitanti del Regno Unito usano e-cig. In Italia, il rapporto annuale dell’Osservatorio fumo, Alcol e Droga (Ossfad) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel 2016 ha registrato, per la prima volta dopo tre anni, un sensibile incremento dell’uso della sigaretta elettronica: gli utilizzatori di e-cig sono infatti passati dall’1,1 per cento della popolazione del 2015 al 3,9 per cento del 2016. Otto utilizzatori di e-cig nostrani su dieci sono comunque «duali», ovvero fumano sia sigarette normali che elettroniche, mentre tra gli utilizzatori esclusivi di sigaretta elettronica (18,4 per cento degli utilizzatori di e-cig) ci sono sia fumatori che hanno smesso di fumare (7,7 per cento) sia persone che si sono avvicinate per la prima volta alla sigaretta elettronica ma non erano fumatori (10,7).

A 15 anni dall’emorragia cerebrale Sharon Stone ricorda: «È stato come tornare dal Paradiso»

Morta e rinata in pochi istanti: così dice di essersi sentita Sharon Stone quando nel 2001, all’età di 43 anni, venne colpita da un’emorragia cerebrale subaracnoidea, che la lasciò incapace di parlare e camminare, costringendola a imparare nuovamente tutto da capo, come fosse ancora una bambina. Un’esperienza che avrebbe comprensibilmente terrorizzato chiunque, ma non la 58enne attrice di Basic Instinct che, al contrario, sostiene di avere ora una nuova concezione della morte, meno spaventosa di quella che aveva avuto fino a quel terribile settembre di 15 anni fa a San Francisco. «Non ho più paura di morire – racconta infatti la Stone a Closer Weekly, che le ha dedicato la storia di copertina - e mi sento anche di dire che la morte è un dono e che quando ti arriva vicino e la senti che è lì accanto a te, è una cosa grandiosa e che ti dà un incredibile senso di benessere, non qualcosa di cui avere timore». Inizialmente, l’attrice (che all’epoca dell’incidente era sposata col giornalista Phil Bronstein, da cui divorzierà poi nel 2003) era convinta di essere rimasta vittima di un ictus e aspettò tre giorni prima di andare in ospedale. «Mi sono resa conto di morire – continua Sharon, oggi mamma di tre figli (Roan, 16 anni; Laird, 11 e Quinn, 10) – e avevo questo gigantesco vortice di luce bianca sopra di me e ad un tratto sono stata innalzata all’interno di questa luce gloriosa e ho cominciato a vedere alcuni miei amici, persone che mi erano molto, molto care e che erano tutte morte, che mi hanno portato in alcuni posti sia qui che nell’aldilà. Ma è stato tutto molto veloce e all’improvviso ero tornata nuovamente nel mio corpo».

Si torna a scuola (e a fare sport) Come scegliere l’attività giusta

Lo sport come un gioco: come sceglierlo

Solo dopo si può pensare allo sport, inteso come attività organizzata che integra ma non sostituisce il movimento quotidiano: non va bene, in altri termini, pensare di aver risolto la quota di esercizio fisico con due o tre ore di sport a settimana se per il resto del tempo il bimbo resta seduto». Prima dei quattro anni è impossibile parlare di un vero sport, fra i quattro e i sei, sette anni si possono pensare attività individuali perché il bimbo non è ancora pronto agli sport di squadra. «Più tardi, intorno ai sette, otto anni si può scegliere uno sport più specifico e l’ideale sarebbe favorire le attività che vengono “naturali”, come il nuoto o il calcio. È importante che il bambino viva lo sport come un gioco, esasperare la dimensione agonistica nell’infanzia rischia di portare al rifiuto dello sport — sottolinea Bona —. L’agonismo andrebbe spostato più avanti possibile così come gli sport molto specifici, per esempio perché sono asimmetrici, richiedono competenze di equilibrio o altro: per capire se lo sport che vorremmo far provare a nostro figlio sia adatto alla sua età si possono consultare le tabelle del CONI, che indicano l’età più opportuna per iniziare ogni disciplina». «Una visita da uno specialista in medicina dello sport può essere utile per indirizzare le scelte tenendo conto delle caratteristiche di ciascun bimbo — aggiunge Maurizio Casasco, presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana —. Valutando eventuali problemi ortopedici, endocrini, cardiologici potrà essere indicata la disciplina con minori rischi e maggiori vantaggi».

Per avere una mente giovane anche da vecchi bisogna fare sport a 50 anni

Uno strumento di prevenzione

È emerso che, a parità di tutti i fattori che possono entrare in gioco nell’invecchiamento del cervello (malattie croniche come ipertensione o diabete, obesità, vizio del fumo o dell’alcol) e indipendentemente da sesso e livello di istruzione, gli individui che erano fisicamente attivi nella mezza età (svolgendo un’attività fisica moderatamente intensa), da anziani presentavano un rischio ridotto di declino cognitivo. In particolare, quando gli autori hanno confrontato il rischio di deficit cognitivo di un partecipante rispetto al suo gemello, si è visto che chi faceva sport 25 anni prima presentava una mente più giovane del sedentario. Dunque l’attività fisica costituisce uno strumento di prevenzione importante, concludono i ricercatori finlandesi, con un impatto potenzialmente notevole sull’incidenza della demenza, malattia che ad oggi resta senza una cura.

Una molecola a forma di stella uccide i «superbatteri» resistenti ai farmaci

Luci che si accendono nel buio

Il mondo senza antibiotici è, per Francesco Scaglione, un periodo ipotetico dell’irrealtà. «La strada dei peptidi, come dicevo, può essere percorsa ed è promettente, ma non può prescindere dai farmaci tradizionali. Anche se, nel tempo, sono state introdotte numerose variazioni. Gli antibiotici classici, come la penicillina, sono composti da piccole molecole, mentre le nuove formulazioni – come la suddetta daptomicina – contengono grandi molecole che hanno uno spettro d’azione più ampio e non agiscono su un solo bersaglio. Per questo i batteri hanno meno possibilità di sviluppare resistenza, ma si rischia anche una maggiore tossicità. In ogni caso, la ricerca di Lam e soci è una luce nel buio: per un lungo periodo non sono stati sviluppati nuovi antibiotici né si faceva ricerca in tal senso, venivano solo messe a punto variazioni delle molecole esistenti».

Stati Uniti, 19enne uccisa dall’ameba «mangia cervello» dopo un tuffo

Infezione rara e gravissima

«Si tratta di un’infezione dalle conseguenze catastrofiche e che progredisce molto rapidamente», ha detto la Smith per spiegare la genesi di quest’infezione, peraltro molto rara: se infatti dal 1962 al 2015 negli Stati Uniti ci sono stati appena 138 casi accertati (ma con soli tre sopravvissuti, fra cui Kali Harding, cui venne diagnosticata nel 2013), in Italia la sua incidenza è praticamente nulla, come conferma il dottor Fabrizio Pregliasco, virologo presso l’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’IRCCS Galeazzi nella stessa città. «Nel nostro Paese è stato diagnosticato un solo caso di meningoencefalite amebica primaria, oltre tutto post mortem – spiega Pregliasco -, mentre ci sono stati altri casi non confermati. Questo perché da noi non sussistono le condizioni ambientali di contaminazione e non ci sono portatori, sebbene valga sempre la raccomandazione di evitare le acque stagnanti, dove c’è più probabilità che possano annidarsi questi batteri».

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