
Toronto (Getty Images)
Certo, si può anche godere di panorami impagabili sulle città, ma vivere ai piani alti può essere un handicap, nel caso si vada incontro a un arresto cardiaco. Le probabilità di sopravvivenza, in queste condizioni, sono inversamente proporzionali all’altezza del palazzo. Il problema è quello dei soccorsi: quanto più si abita in alto, tanto più tempo ci metteranno i soccorsi del “991” a raggiungere chi ha bisogno di un’assistenza immediata. Parliamo del “991”, il numero dell’emergenza sanitaria canadese (e americana), dal momento che lo studio (che ha valutato i tempi di soccorso in varie situazioni) è stato condotto proprio da quelle parti ed è pubblicato sul Canadian Medical Association Journal.
Ritardo nei soccorsi
Dice Ian Drennan, un paramedico ricercatore del gruppo Rescu con base al St Michael’s Hospital di Toronto e primo autore della ricerca: «I palazzi con molti piani pongono problemi di accesso non indifferenti ai soccorritori. Per esempio i ritardi degli ascensori. E la distanza di chi ha bisogno di aiuto, rispetto all’ambulanza, possono interferire negativamente con la prima assistenza». Lo studio ha preso in considerazione oltre 8mila adulti che sono andati incontro ad arresto cardiaco, soccorsi dal 911 nella città di Toronto (capoluogo dell’Ontario) e nella Regione di Peel, sempre in Ontario, dal gennaio 2007 al dicembre 2012 . Il tasso di sopravvivenza complessivo, dopo le cure in ospedale, è risultato complessivamente del 3,8 per cento. Più nel dettaglio, però, risultava del 4,2 per cento per le persone che vivevano dal terzo piano in giù e del 2,6 per cento per chi viveva più in alto.
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Rianimazione cardiopolmonare
Ancora più precisamente, testimonia Drennan: la sopravvivenza al 19mo piano risultava dello 0,9 per cento, sopra il 25mo tutti sono deceduti. «I pazienti che sono sopravvissuti – continua Drennan – erano i più giovani, e quelli sottoposti, da parte dei presenti, a manovre di rianimazione (respirazione cardiopolmonare), anche se queste ultime vengono messe in atto in pochissimi casi, purtroppo. Perché la rianimazione cardiopolmonare immediata ed eventualmente l’uso di un defibrillatore, se disponibile, fa la differenza fra la via e la morte». Le tecniche di rianimazione, dopo un arresto cardiaco, possono raddoppiare le probabilità di sopravvivenza di una persona, ma vengono utilizzate solo nel 30 per cento dei casi.
Più defibrillatori
Gli autori dello studio elencano una serie di raccomandazioni per rendere più efficaci i soccorsi. Intanto suggeriscono di collocare defibrillatori nei palazzi a ogni piano o, almeno, nelle lobbies (atri all’ingresso). Poi raccomandano di fornire ai paramedici le chiavi degli ascensori per un accesso privilegiato (come già hanno, almeno in Canada, i pompieri), soprattutto perché a Toronto sta aumentando il numero degli inquilini di una certa età che vivono in stabili a più piani.
La situazione in Italia
Riflessione: la realtà canadese di una città come Toronto è un po’ lontana da quella delle nostre città italiane. Da noi non sono moltissimi i grattacieli (tranne che a Milano, dove ne sono cresciuti alcuni in questi ultimi anni, e in pochissime altre aree). Si spera che i super-architetti dei nuovi palazzi abbiano preso in considerazione anche le necessità di tipo sanitario (arresti cardiaci e altre emergenze), ma anche l’accessibilità, per esempio, ai portatori di handicap, cosa che Santiago Calatrava non ha affatto preso in considerazione progettando il Ponte della Costituzione a Venezia, vicino alla Stazione Santa Lucia. Da noi, dunque, la questione della rapidità dei soccorsi è un po’ diversa. Città storiche, vecchi palazzi, strade strette e traffico convulso. Ecco i problemi più diffusi. Allora: bene lo studio canadese che mette il dito nella piaga, ma deve essere reinterpretato da chi si occupa di sanità pubblica nelle nostre realtà quotidiane.