Archive for October 31, 2015
Al polso o in tasca: i tecno-allenatori che ci spronano a vivere meglio
Una leggera, quasi impercettibile, vibrazione sul polso. Tanto basta per indurci a fare attenzione a un parametro o a una misurazione che fino a qualche tempo fa riguardava solo gli sportivi di professione. Ora invece i dispositivi indossabili (smartband o smartwatch), ma anche gli smartphone più avanzati, stanno conquistando un numero sempre maggiore di persone (sono 1,9 miliardi i telefoni cellulari “intelligenti” e 23 milioni gli strumenti da polso in circolazione) e le stanno gradualmente abituando a tenere conto di una serie di nuove variabili nella loro vita quotidiana.
I 10 mila passi
Ad esempio questi strumenti ci possono dire con una vibrazione se è necessario trascorrere almeno un minuto in piedi dopo essere stati troppo tempo seduti, oppure quanti passi si sono fatti nell’arco della giornata. Ed ecco che il traguardo dei 10 mila passi, consacrato come ottimale già dai podometri giapponesi negli anni 60, diventa appetibile anche per chi lo ha sempre ignorato. I piccoli schermi tengono traccia degli spostamenti e li rappresentano con una grafica chiara e impattante. Capita, così, a fine giornata di reagire al mancato completamento del cerchio colorato dell’Apple Watch relativo al tempo trascorso in movimento, facendo una fermata in meno con la metropolitana o evitando di prendere l’ascensore. O, al termine della settimana, di ripensare la propria routine se gli obiettivi non sono stati mai raggiunti o se il braccialetto “intelligente” – ad esempio Fitbit – non ha mai festeggiato con la vibrazione il traguardo dei 10 mila passi. Per sfruttare al meglio le potenzialità di questi strumenti, in grado di incrociare i dati di movimento con l’alimentazione, la qualità del sonno e persino l’attività sessuale, ci vogliono comunque la convinzione e la costanza del salutista. Ma la (buona) abitudine di combattere la sedentarietà sembra davvero a portata di mano. E di polso.
Una sana competizione aiuta a non stancarsi dei nuovi «giocattoli»
Un dato, per quanto accurato e reso comprensibile a chiunque, non è sufficiente per farci cambiare davvero abitudini. Ne sono convinti i ricercatori della Perelman School of Medicine, del Penn Medicine Center for Health Care Innovation e del LDI Center for Health Incentives and Behavioral Economics dell’Università della Pennsylvania, fra i primi a interrogarsi sull’impatto dei “wearable” sulle nostre vite. Secondo gli autori dello studio: «C’è una differenza sostanziale tra l’avere a portata di mano le informazioni e realizzare un vero cambiamento nelle proprie abitudini. E, per quanto la popolarità di questi dispositivi sia in aumento, non c’è evidenza del loro contributo nel colmare il gap tra le buone intenzioni e la realtà». Orologi e braccialetti intelligenti, continua l’analisi, possono essere un punto di partenza per un potenziale cambiamento nella gestione della nostra salute solo se vengono utilizzati nel contesto di una revisione dell’intero stile di vita. Questi strumenti per essere davvero utili dovrebbero poi raggiungere una porzione più vasta di popolazione che vada oltre i cosiddetti “early adopters”, gli affamati di tecnologia, che costituiscono ancora il 75% dei possessori di “indossabili”, e una popolazione più omogenea in termini di possibilità economiche ed età (chi ha meno di 35 anni è ancora il maggior utilizzatore). Servono inoltre garanzie maggiori sull’accuratezza dei dati rilevati, come la misurazione del battito cardiaco o la qualità del sonno. Altro fattore chiave è lo stimolo: confrontarsi con se stessi alla lunga non è sufficiente e più della metà degli acquirenti di questi oggetti li abbandona dopo pochi mesi. Bisognerebbe quindi promuovere sfide e occasioni di confronto collettivo. I ricercatori sottolineano infine come dover ricaricare l’ennesimo dispositivo possa diventare un deterrente: affidarsi anche solo agli smartphone e alle relative app, può essere più efficace.
Iperconnessi per stare meglio, non sarà un controsenso?
Se, da un parte, le tecnologie indossabili si propongono come potenziali alleate per la salvaguardia della nostra salute, dall’altra suscitano gli stessi interrogativi dei telefoni cellulari sui possibili effetti nocivi legati all’eccessivo contatto. A differenza dei telefonini, i dispositivi da polso sono per di più pensati per essere sempre aderenti al corpo, ma i rischi sono inferiori: come ha spiegato al New York Times Joseph Mercola, fra gli esperti più attenti all’impatto del “mobile” sulla nostra salute. «Le radiazioni – ha chiarito Mercola— arrivano dalla connessione 3G dei cellulari, quindi oggetti come Jawbone Up o Apple Watch non dovrebbero dare problemi». Il dispositivo di Cupertino sfrutta il Bluetooth e il wi-fi per condividere i dati con il telefonino e attivare le sue funzioni. Come sottolinea Mercola, nel caso in cui ci si orienti verso un modello con una Sim, sia essa 3G o 4G, integrata bisogna tenere conto del fatto che in sostanza si indossa un (piccolo) telefono cellulare. Senza dimenticare però che le ricerche sulla pericolosità di queste connessioni sono ancora discordanti. È anche vero che per fare breccia su una base consistente di utenti le prossime generazioni di smartwatch dovranno svincolarsi il più possibile dagli smartphone e, con la collaborazione degli operatori di telecomunicazioni, saranno quindi destinate a ospitare una Sim.
Lenti a contatto capaci di misurare il livello di glicemia
Se il presente in via di definizione è caratterizzato da orologi e braccialetti, in futuro l’interazione fra la nostra salute e la tecnologia sarà sempre più spinta. In cima alla lista di chi punta sul settore c’è Google, che con la controllata Calico si è posta addirittura l’obiettivo di combattere l’invecchiamento. Altro progetto di Mountain View, che da qualche mese fa capo alla controllata Alphabet,sono le lenti a contatto in grado di monitorare i livelli di glucosio nel sangue. Il colosso californiano ci sta lavorando con Novartis. I primi test sulle persone dovrebbero iniziare l’anno prossimo. A dimostrazione della validità dell’intuizione, anche Google ha brevettato il 13 ottobre lenti contatto che funzionano a energia solare e sono dotate ti di sensori in grado di raccogliere dati come la temperatura del corpo e il livello dell’alcool nel sangue, o percepire la presenza di allergeni nello spazio circostante.
Gli esperti scelti dal Corriere rispondono alle domande dei lettori I forum
Infezioni respiratorie e gastro intestinali da neonati indicano una predisposizione alla celiachia?
Anche una infezione alle vie respiratorie o gastrointestinale, “giovane” che si presenta cioè nei primi 18 mesi di vita del bambino e ricorrente potrebbe essere un indice di predisposizione alla celiachia. È l’ultima ipotesi diagnostica sollevata da uno studio ampio, condotto dall’Istituto norvegese di Salute Pubblica di Oslo e pubblicato sul The American Journal of Gastroenterology, che aprirebbe nuovi spiragli per scovare l’intolleranza al glutine in maniera precoce e tempestiva.
Lo studio
Sono stati moltissimi – oltre 73 mila – i nati tra il 2000 e il 2009, tenuti sotto osservazione per diversi anni da un gruppo di ricercatori norvegesi, intenzionati a scoprire una possibile correlazione tra l’insorgenza precoce di alcune infezioni delle vie respiratorie e/o gastrointestinali e la manifestazione futura di intolleranza al glutine, una proteina del grano. Una relazione, a detta degli esperti, possibile ma sulle probabilità di sviluppo della celiachia sembrano fare la differenza sia la frequenza di insorgenza sia la tipologia di infezione. «Il nostro studio – hanno dichiarato i ricercatori – ci ha consentito di rilevare in piccoli che avevano avuto almeno o più di 10 episodi di infezioni respiratorie o gastrointestinali nei primi 18 mesi di vita, un rischio di diventare intolleranti al glutine superiore del 30% rispetto ai coetanei che, nello stesso periodo di tempo, si erano ammalati meno o all’incirca 5 volte». Più “sfortunati”, nel gruppo, erano i bebè con problemi respiratori ricorrenti perché sembravano maggiormente predestinati a manifestare la malattia da grandicelli, in rapporto a coloro che erano avvezzi a infezioni gastrointestinali.
Campanello di allarme
I ricercatori tranquillizzano mamme e papà, perché le infezioni neonatali sono solo un campanello di allarme – e non una certezza – di reazione avversa al glutine. «La celiachia – concludono gli esperti – è determinata da una serie di fattori, primo fra tutti la predisposizione genetica, cui si aggiunge una componente ambientale e comportamentale». Ed ora, forse, anche infettiva. La conferma arriverà solo con ulteriori indagini sul ruolo di eventuali agenti esterni: un passo necessario per potere comprendere meglio le cause di sviluppo della malattia e arrivare così a definire, in futuro, strategie di diagnosi precoce e misure di prevenzione.
La frutta a fine pasto riduce i danni causati dalle abbuffate
«Come dessert, sempre frutta fresca». Lo affermava Ancel Keys, lo “scopritore” della dieta mediterranea, nel portare come esempio agli americani, i pasti dell’Italia Meridionale degli anni Cinquanta. E da una recente revisione di una serie di studi precedenti, su Endocrine, Metabolic & Immune Disorders – Drug Targets, arriva un nuovo motivo per mangiarla: la frutta come tale, o sotto forma di succhi, aiuta a contrastare i danni cui l’organismo può andare incontro in seguito al consumo di pasti troppo ricchi.
Buon accompagnamento anche a un panino
Il merito di questa azione va soprattutto ai polifenoli, dotati di attività anti ossidante e anti infiammatoria, e a una azione “regolatoria” della frutta nel suo complesso nei confronti del metabolismo lipidico e della risposta glicemica . «Per capire il significato di queste ricerche — commenta Mauro Serafini, ricercatore del Crea- Centro alimenti e nutrizione e autore di numerosi studi su questo tema — è utile ricordare che l’assunzione di pasti ricchi di grassi, zuccheri e, o calorie causa nell’organismo uno stato di stress (che persiste per 6-8 ore dall’ingestione) dovuto all’aumento dei livelli circolanti di lipidi e di glucosio e allo scatenarsi di una risposta infiammatoria acuta che, se ripetuta nel tempo, può causare uno stato infiammatorio cronico, alla base dell’ obesità e di patologie come l’aterosclerosi e il cancro. Ma mentre questo stress successivo al pasto è noto da tempo, è solo da poco che si è cercano soluzioni pratiche per ridurne gli effetti negativi. La frutta è uno degli alimenti sui quali più si è concentrata l’attenzione. Consumarne quantità adeguate in associazione a pasti ricchi potrebbe ridurre il conseguente stress infiammatorio presumibilmente per l’ interazione fisica, durante la digestione, tra molecole pro-ossidanti infiammatorie e composti bioattivi quali i polifenoli e la vitamina C . Sebbene il suggerimento resti naturalmente quello di evitare pasti troppo ricchi o sbilanciati, quando capita di “esagerare” mangiare vegetali colorati come la frutta». Al di là di questo, la frutta aggiunge al pasto sostanze nutritive e protettive (come la vitamina C che aiuta ad assorbire il ferro, poco disponibile, degli alimenti vegetali), contribuisce a saziare con un apporto calorico moderato ed è un modo facile per integrare un pasto veloce, come il classico panino.
Tra i Muppet arriva Julia, bambina simpatica e allegra (con autismo)
L’intervento per la cataratta sempre più spesso viene eseguito a 50 anni
Quando si parla di cataratta, di solito si pensa a un intervento che prima o poi tutti dobbiamo fare, ma passati i 60 anni. In realtà negli ultimi anni si sta assistendo a un progressivo anticipo dell’operazione di sostituzione del cristallino, quando la sua opacizzazione è agli albori o non si è ancora manifestata. Ma ha senso anticipare i tempi? E se sì in quali casi? Se n’è parlato in occasione del recente Congresso internazionale “Videocatarattarefrattiva 2015”.
Intervento anticipato
«L’intervento di cataratta si può anticipare, ma senza esagerare con la precocità. Quella dei 50 anni potrebbe essere una buona soglia – sostiene Lucio Buratto, direttore scientifico del Centro ambrosiano oftalmico di Milano -. Oggi diversi cinquantenni in cui è in atto un peggioramento visivo, non dovuto alla cataratta, insistono sull’esigenza di non avere ostacoli alla loro visione: vogliono disfarsi di occhiali o lenti a contatto, che magari, dopo decenni di utilizzo, non tollerano più. Di solito si tratta di persone che hanno difficoltà a vedere da lontano oppure da vicino, a causa dell’insorgenza della presbiopia o per altre ragioni. Non hanno una vera patologia, non vedono offuscato o i colori annebbiati, vogliono solo liberarsi dal fastidioso impiccio procurato loro dagli occhiali da vista».
Sindrome del cristallino disfunzionale
Grazie a strumentazioni diagnostiche di avanguardia e a esami oculistici più focalizzati sull’analisi del cristallino naturale dell’occhio, si è evidenziato che molti dei pazienti tra i 50 e i 60 anni, desiderosi di riacquistare una visione ottimale a qualunque costo, presentano in realtà dei cristallini non del tutto trasparenti, ma già con qualche opacizzazione o comunque non perfettamente funzionali. Tanto che si è coniato il termine di “sindrome del cristallino disfunzionale”, per descrivere questa situazione di invecchiamento del cristallino che comincia a presentare le prime opacità, piccole aberrazioni e difficoltà di accomodazione. In pratica non si è ancora nelle fasi della cataratta e la presbiopia forse è appena all’inizio. La sindrome non è dovuta alla presbiopia, ma sicuramente la ingloba tra i suoi sintomi, e la presbiopia la può accentuare, sebbene non sia l’unico elemento di disturbo. Per cui non è corretto parlare solo di presbiopia o solo di cataratta, ma di una patologia diversa che si pone a livello intermedio.
Laser o sostituzione del cristallino
A questo punto sorge spontanea una domanda: perché non intervenire con le tradizionali tecniche di chirurgia refrattiva che utilizzano il laser a eccimeri (per esempio la Lasik) e aspettare a rimuovere il cristallino quando questa lente naturale mostrerà chiari segni di opacizzazione? «In caso di sindrome del cristallino disfunzionale la sostituzione del cristallino è una strategia più efficiente perché, a differenza della procedura laser, risolve il problema della lente e il problema refrattivo in un unico intervento – fa notare Buratto -. Con il trattamento laser infatti si risolve nell’immediato il problema refrattivo, ma si rimanda l’inevitabile opacizzazione del cristallino naturale che arriverà negli anni successivi, facendo tornare in sala operatoria per la cataratta. Con la sostituzione del cristallino a 50 anni o poco dopo, si evita l’insorgenza e quindi l’intervento di cataratta».
Carni e tumori: la prossima analisi da parte dell’Oms riguarderà il caffè
Dall’aviaria alla mucca pazza I dati sugli allarmi(smi) e l’Italia
Hanno retto, invece, polli e affini. «Il pollame è la carne anticrisi — sottolinea Sanfrancesco —. In periodi di ristrettezze gli italiani si sono rivolti a fonti di proteine valide ma più economiche e hanno acquisito “confidenza” con le carni avicole perché si è diffusa la consapevolezza che siano carni bianche favorevoli per la salute, “familiari” perché vanno bene a tutte le età, per i bambini come per gli anziani. Di pari passo con la domanda è cresciuta la produzione, tanto che oggi l’Italia è totalmente autosufficiente, anzi produce più di quanto si consumi, circa il 103 % rispetto alla domanda». E margini di miglioramento pare non manchino. «Oggi mangiamo circa 19 kg a testa all’anno di carni avicole, comunque meno della media europea che è sui 23 kg pro capite, — sottolinea Lara Sanfrancesco — ma abbiamo anche i cosiddetti chicken lovers, circa 17 milioni di italiani che scelgono pollame più di tre volte a settimana». Il settore avicolo — spiegano gli esperti — è forte grazie a una filiera «integrata», dalla formulazione dei mangimi fino alla distribuzione: poche imprese, ciascuna con una rete stabile di allevatori.
Ex fumatori, «candeline virtuali» per festeggiare il loro successo
Conto alla rovescia
Nel conto alla rovescia che separa dal 30 ottobre 2015, gli ex fumatori e tutti gli appartenenti alla comunità di iCoach potranno festeggiare i loro successi accendendo una scintilla sulla mappa digitale d’Europa. Potranno anche utilizzare la mappa per invogliare tutti i loro cari a imitarli a smettere di fumare. La mappa finale d’Europa con tutte le scintille sarà svelata a Bruxelles il 30 ottobre dal Commissario Europeo per la Salute e la Sicurezza Alimentare Vytenis Andriukaitis: «Essendo un cardiologo ho potuto constatare personalmente i terribili effetti dell’uso del tabacco – dice il Commissario -. Ho anche perso due dei miei fratelli a causa di malattie fumo correlate. Non dimenticherò mai la sofferenze che hanno dovuto patire». «Il tabacco è responsabile di circa 700 mila morti evitabili ogni anno nell’Unione Europea – aggiunge Vytenis Andriukaitis -. Una politica rigorosa di controllo dell’utilizzo del tabacco, supportato da iniziative per accrescere la consapevolezza, come “Gli Ex Fumatori sono Irresistibili”, sono vitali per migliorare la salute pubblica nell’Unione Europea. Smettere di fumare è un successo di cui essere orgogliosi, un risultato che può cambiare la vita. Celebreremo il 30 ottobre migliaia di ex fumatori che splendono in tutta Europa. Mi congratulo con tutti loro, sono un’ispirazione per tutti coloro che stanno combattendo per smettere».