CONVEGNO ALLA CAMERA
Farmaci anticancro salvavita:
ritardi e leggi non applicate
Medici e pazienti chiedono la soluzione di vecchi problemi:
la trafila burocratica infinita che una cura deve seguire
prima di arrivare al malato e le disparità fra Regioni
Malati di tumore e oncologi tornano a far sentire la loro voce in sede istituzionale per un problema tutt’altro che nuovo, ma ancora irrisolto. I farmaci anticancro salvavita dovrebbero essere subito disponibili su tutto il territorio nazionale, ma oggi non è così e ci sono regioni che hanno ritardi di oltre quattro anni rispetto a quanto stabilito dalla legge. Per questo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), la Società Italiana di Ematologia (Sie) e la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) hanno presentato alla Commissione Igiene e Sanità del Senato e alla Commissione Affari Sociali della Camera un documento programmatico con due proposte da attuare in tempi brevi, illustrate al convegno «Farmaco e sostenibilità nella cura del paziente oncologico» alla Camera dei Deputati. Medici e pazienti chiedono, da un lato, che l’accesso immediato a tutti i farmaci salvavita e non solo a quelli considerati innovativi (che possa essere quindi essere considerata la rimodulazione del Decreto Balduzzi). Dall’altro, reclamano l’attivazione di uno stretto monitoraggio sul rispetto del termine dei 100 giorni per l’esame delle terapie innovative da parte dell’Aifa.
NON È (SOLO) UN PROBLEMA DI COSTI – Secondo l’ultima indagine svolta da Aiom, in alcune Regioni si registrano ancora ritardi di 50 mesi prima dell’inserimento nei prontuari locali delle terapie innovative che hanno già ottenuto il giudizio positivo dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco). La grave situazione, già denunciata due anni fa, non è migliorata. Inoltre l’esame da parte dell’agenzia regolatoria per la registrazione dei nuovi farmaci deve avvenire in tempi certi, senza dilazioni: la legge che stabilisce il termine dei 100 giorni non è applicata. Nel nostro Paese 2 milioni e 800mila persone vivono con una diagnosi di tumore e i nuovi casi registrati nel 2013 sono stati 366mila. «Siamo consapevoli – afferma Stefano Cascinu, presidente Aiom – che il contenimento dei costi rappresenti una priorità e noi siamo pronti a fare la nostra parte. Non possiamo però accettare l’idea di porre la spesa farmaceutica oncologica come l’origine di tutti i problemi. L’impatto economico per le terapie antitumorali è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni». Inoltre, sebbene le terapie oncologiche rappresentino il 25 per cento della spesa ospedaliera per i medicinali, i farmaci anticancro incidono solo sul quattro per cento sul totale dei costi sostenuti da un ospedale.
CENTO GIORNI NON BASTANO – Dopo aver superato i necessari (e inevitabilmente molti) passaggi perché un farmaco venga testato scientificamente e si riveli efficace, si apre l’altrettanto lunga trafila burocratica perché tutti i farmaci ospedalieri, compresi gli antitumorali, devono completare una serie di passaggi prima di essere disponibili per i pazienti. L’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) viene rilasciata, nell’Unione Europea, dal Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) dell’European Medicines Agency (EMA). Il passo successivo è il recepimento, da parte dell’Italia, delle AIC autorizzate dall’EMA che passano per un’apposita commissione dell’Aifa, che valuta anche la rimborsabilità della molecola, ne decide il regime di dispensazione (fascia A, C, H) e negozia il suo prezzo con il produttore. Ma i tempi dell’Aifa sono troppo lunghi: trascorrono in media 12-15 mesi perché un nuovo farmaco riceva l’ok dall’agenzia italiana. «Per superare questi ritardi – spiega Francesco Cognetti, presidente della Fondazione Insieme contro il cancro -, il governo Letta lo scorso luglio ha stabilito l’obbligo per l’Aifa di valutare le domande dei farmaci innovativi entro un periodo massimo di cento giorni. Ma questa legge, allo stato attuale, non sembra sia applicata né applicabile. Chiediamo che il Parlamento si attivi per monitorare, il rispetto di questa legge. Altrimenti vanno fissati termini diversi, ma certi».
TRAFILA BUROCRATICA INFINITA – Dopo il passaggio dall’Europa (EMA) all’Italia (Aifa) un farmaco ospedaliero, prima di essere fisicamente disponibile nelle strutture sul territorio, deve completare un iter ulteriore, che può variare non solo da regione a regione, ma anche all’interno delle singole Aziende sanitarie locali. Quindi, tra l’autorizzazione nazionale e l’effettiva possibilità di utilizzo si possono interporre commissioni di vario livello, responsabili dei vari prontuari, con potere di filtro o di blocco. La faccenda dunque si complica perché esistono commissioni regionali, locali e aziendali che possono decidere in maniera autonoma e creare disparità nell’accesso ai farmaci per i cittadini di regioni diverse o anche nell’ambito della stessa regione, se afferenti a aziende sanitarie e ospedali diversi. In questo iter, il numero dei farmaci effettivamente disponibili per i cittadini può restringersi: di regola, una commissione non può inserire nel proprio prontuario un farmaco non autorizzato dall’Aifa, ma può invece decidere di escluderne uno. Lo stesso, con poche eccezioni, accade lungo tutta la trafila fino al singolo ospedale.
BATTAGLIA VINTA SOLO SULLA CARTA – «Tutto questo crea enormi ritardi e complicazioni che sono particolarmente sentiti soprattutto in ambito oncologico, visto che si tratta di malattie gravi, con la legittima richiesta dei pazienti di poter usufruire delle terapie innovative nel minor tempo possibile – sottolinea Cascinu -. Le varie commissioni regionali spesso non sono altro che inutili duplicati dell’agenzia regolatoria europea e di quella italiana: il terzo livello di approvazione deve essere eliminato». L’ostacolo pareva risolto con il cosiddetto Decreto Balduzzi (D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazione dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189). «Questo provvedimento – spiega Francesco De Lorenzo, presidente Favo – avrebbe dovuto eliminare le precedenti, inaccettabili disparità di trattamento nelle varie regioni e assicurare ovunque la disponibilità dei farmaci innovativi, riducendo la mobilità interregionale. Ma, ad oggi, tutte le diseguaglianze denunciate negli anni precedenti non sono state risolte. La battaglia è stata vinta solo sulla carta, con la conseguenza che le regioni continuano a limitare l’accesso alle terapie salvavita, indipendentemente dall’approvazione dell’Aifa. La mancata applicazione del decreto dipende da un’interpretazione limitativa del concetto di innovatività. Di fatto l’agenzia regolatoria non attribuisce questo requisito ai farmaci salvavita già in commercio». Quanto costino davvero, per i malati, le lungaggini burocratiche e la mancanza di leggi appropriate appare lampante con un solo esempio: «L’ematologia ha aperto più di 10 anni fa la strada ai cosiddetti farmaci intelligenti – conclude Fabrizio Pane, presidente Sie -. Le innovative terapie mirate hanno rivoluzionato in pochi anni la cura della leucemia mieloide cronica, che prima non lasciava scampo, mentre oggi guarisce il 90 per cento dei pazienti».