Tumori, 377mila i nuovi casi in Italia nel 2020. Diagnosi in aumento solo fra le donne

I tumori più letali e quelli più diffusi

Il carcinoma del polmone costituisce la più frequente causa di morte oncologica, seguito dal colon-retto e ano, mammella femminile, pancreas e fegato. «Nel 2020, si stima che, nel nostro Paese, i tumori saranno la causa di morte di 183.200 persone (101.900 maschi e 81.300 femmine) e la mortalità è in calo in entrambi i sessi: -6% negli uomini e -4,2% nelle donne, grazie ai progressi ottenuti nella diagnosi e nei trattamenti – sottolinea Anna Sapino, presidente SIAPEC-IAP -. In controtendenza il tasso di mortalità per il carcinoma polmonare nelle donne, in incremento del 5,2% (nei maschi, invece, si riduce dell’11,2%) e che evidenzia ancora di più il lavoro da svolgere in termini di prevenzione primaria, informazione e formazione della popolazione».Esclusi i carcinomi della cute, i 5 tumori più frequentemente diagnosticati nel 2020 fra gli uomini italiani sono quelli di prostata (18,5%), polmone (14,1%), colon-retto (12%), vescica (10,5%) e rene (4,6%). Tra le donne invece i 5 tumori più frequenti sono: mammella (30,3%), colon-retto (11,2%), polmone (7,3%), tiroide (5,4%) e corpo dell’utero (4,6%).«In Europa, negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali, circa il 40% dei nuovi casi di tumore è potenzialmente evitabile – commenta Stefania Gori, presidente Fondazione Aiom -. Per quanto riguarda l’Italia, fattori di rischio comportamentali e, quindi, modificabili sono responsabili ogni anno di circa 65mila decessi oncologici. In ambedue i sessi, il fumo è il fattore di rischio con maggiore impatto, a cui sono riconducibili almeno 43mila decessi annui per cancro. Il fumo di tabacco infatti è associato all’insorgenza di circa un tumore su tre e a ben 17 tipi di cancro, oltre a quello del polmone».

Coronavirus in rapida crescita in Italia: cosa sta succedendo, l’analisi

Abbiamo chiesto a Fabrizio Pregliasco, virologo e Direttore Sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano, che cosa sta succedendo in Italia.
«La situazione epidemiologica attuale era assolutamente attesa, considerando i giorni passati dal lockdown e quella che è stata la rilassatezza dei costumi durante l’estate. Si comincia anche in parte a vedere l’effetto dello stress-test delle scuole, anche se il dato complessivo sulla riapertura lo vedremo dalla prossima settimana. Ci sono più concause per questa crescita: è anche la conseguenza del ritorno in città, con i mezzi pubblici più affollati e una maggiore frequentazione di luoghi chiusi».

Dove ci si contagia?
«La gran parte dei casi in questo momento riguarda la trasmissione in contesto famigliare: più del 70% dei nuovi positivi sono dovuti a figli che contagiano i genitori, infatti si è alzata l’età media».

Dobbiamo preoccuparci?
«Oggi la situazione è diversa perché questi casi sono una rappresentazione diversa della realtà rispetto all’inizio. In primavera conteggiavamo e identificavamo soltanto i casi più gravi dal punto di vista clinico, ora valutiamo anche tutta quella quota di asintomatici che sono la causa del mantenimento della catena di contagio».

I positivi saliranno ancora?
«Più aumentiamo i contatti interpersonali, più la quota dei casi aumenterà. È inevitabile perché la suscettibili è ancora troppo elevata, al di là di alcune zone, come Nembro o Alzano dove è stato colpito il 40-50% delle persone. Per questo la Lombardia in alcune parti si è allineata alla crescita del resto dell’Italia. La media italiana, però, è del 2,5%, anche se a macchia di leopardo, e i focolai ci sono in tutte le province. Ci saranno valori ancora più pesanti, ma credo e spero che si riesca a mantenere un livello di gestione delle terapie intensive buono, che è il punto nodale di tutta la scommessa sul futuro».

Che cosa dobbiamo fare?
«Ho parlato di “nuovo galateo” rispetto all’utilizzo di mascherine. Abbiamo lavorato bene durante il lockdown, ma ora l’attenzione si è abbassata. La scommessa dal punto di vista sanitario è quella di implementare la capacità diagnostica rapida per quanto riguarda il contenimento della malattia da parte dei dipartimenti di prevenzione (che finora hanno lavorato bene). Il più è riuscire a contenere la crescita in modo lineare, perché oltre una certa quota scatta l’aumento esponenziale. Dobbiamo riuscire a gestire questa fase come momento di contenimento altrimenti ritorniamo alla mitigazione con il lockdown».

Quale sarà il campanello d’allarme più «squillante»?
«L’ospedalizzazione. Il numero di positivi può addirittura essere una buona notizia, nel senso che significa che il monitoraggio funziona e riusciamo a isolare chi può contagiare ancora. È lo stress sul sistema sanitario nazionale che ci deve mettere in allarme».

Siamo destinati a chiudere?
«Può essere il nostro destino: ma si tratterà di lockdown mirati e inasprimenti da fare in modo “sartoriale” e selettivo per evitare la chiusura totale».

Lavatevi le mani: il coronavirus può sopravvivere sulla pelle nove ore

Secondo un nuovo studio appena pubblicato da ricercatori giapponesi il nuovo coronavirus può persistere sulla pelle umana molto più a lungo di quanto possano fare i virus influenzali. Secondo lo studio, Sars-CoV2 è rimasto vitale su campioni di pelle umana per circa 9 ore. Al contrario, un ceppo del virus dell’influenza A è rimasto vitale sulla pelle umana per circa due ore. Entrambi i virus sono stati rapidamente inattivati grazie al disinfettante per le mani (da qui l’importanza, ribadita ancora una volta, di lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o, quando non è possibile, con il disinfettante).«Questo studio mostra che rispetto all’influenza Sars-Cov-2 può trasmettersi più facilmente attraverso il contatto perché resta in modo più stabile sulla pelle umana» hanno scritto gli autori ella ricerca appena pubblicata sulla rivista Clinical Infectious Diseases.

Le altre superfici

All’inizio della pandemia un gruppo di ricercatori americani ha studiato per quanto tempo Sars-CoV-2 poteva permanere sulle superfici scoprendo che rimaneva fino a 4 ore sul rame, fino a 24 ore sul cartone e fino a tre giorni su plastica e acciaio. Con il passare del tempo calava anche la carica infettante, in modo differente a seconda della superficie. Tuttavia, per ragioni etiche, esaminare per quanto tempo il virus può persistere sulla pelle umana è più complicato: non sarebbe accettabile spruzzare virus potenzialmente letale sulle mani delle persone per calcolare quanto tempo si mantiene. Quindi, per questo nuovo studio, i ricercatori, dell’Università di Medicina della Prefettura di Kyoto in Giappone, hanno creato un modello di pelle utilizzando campioni di pelle umana ottenuti dalle autopsie. I campioni sono stati raccolti un giorno dopo la morte. Gli autori hanno fatto notare che anche 24 ore dopo la morte, la pelle umana può ancora essere utilizzata per gli innesti cutanei, il che significa che mantiene gran parte delle sue funzioni . Per questo gli scienziati hanno concluso che i campioni raccolti erano adatti all’esperimento.

Covid Vaccino, Oms: «C’è speranza entro la fine dell’anno»

«C’è la speranza che entro la fine di quest’anno potremo avere un vaccino». Lo ha detto il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus al termine di una riunione di due giorni del comitato esecutivo dell’organismo. Attualmente – ricorda la Bbc – ci sono circa 40 vaccini allo stadio di studi clinici, incluso uno sviluppato dall’Università di Oxford che è già in una fase avanzata di test. Ma il direttore dell’Oms non ha specificato quale vaccino potrebbe essere disponibile entro la fine dell’anno.

Contagiato il 10% della popolazione

Altra importante affermazione dell’Oms è stata sulla diffusione del coronavirus nel mondo: avrebbe colpito il 10 per cento della popolazione mondiale, circa 770 milioni di persone, contro la cifra di 35,5 milioni di casi di Covid-19 confermati a livello globale, secondo la mappa compilata e aggiornata dalla Johns Hopkins University.Lo ha detto lunedì Mike Ryan, il massimo esperto di emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) rivolgendosi all’Executive Board dell’agenzia. «Le nostre migliori stime attuali ci dicono che circa il 10% della popolazione mondiale potrebbe essere stata infettata da questo virus. Varia a seconda del paese, tra città e campagne, e varia a seconda dei gruppi. Ma ciò significa che la maggior parte del mondo rimane a rischio. Stiamo entrando in un periodo difficile. La malattia continua a diffondersi», ha specificato Ryan.
Che i casi reali di coronavirus siano più di quelli conteggiati è noto. Durante l’estate i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno affermato che la sottostima nel Paese probabilmente era arrivata al 90%. In Italia si era paventato ci fossero 10 volte tanto i casi registrati, in realtà erano 6-7 volte maggiori.

Sul Corriere Salute: sogni, come sfruttare il loro potere curativo

Pubblichiamo in anteprima parte di un articolo del nuovo «Corriere Salute». Potete leggere il testo integrale sul numero in edicola gratis giovedì 8 ottobre oppure in Pdf sulla Digital Edition del «Corriere della Sera».

Entrare nella mente di chi dorme e modificare le sue visioni notturne è il sogno che fa vivere la nuova pellicola danese d’animazione Dreambuilders – La fabbrica dei sogni, del regista Kim Hagen Jensen. Minna, la bambina protagonista, scopre come entrare nella «fabbrica dei sogni» degli altri e modificarli come se fosse un regista su un set cinematografico, tentando così di cambiare anche il loro modo di comportarsi. Perché i sogni, bizzarri film interiori, sono comunque una produzione mentale radicata nella vita di ciascuno di noi. Anche senza voler scomodare Sigmund Freud e la sua interpretazione psicoanalitica del sogno come via principale verso l’inconscio. I sogni e la vita sono fatti della stessa materia, come suggeriva già secoli fa William Shakespeare ne La Tempesta: «Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita».

Dermatite atopica: colpisce a tutte le età, interessa un bambino su cinque

Molte malattie della pelle non sono molto gravi ma, per la loro visibilità e i sintomi associati, causano un danno rilevante alla qualità della vita affettiva, sociale e lavorativa. Ne è un esempio la dermatite atopica, che colpisce a tutte le età ed è in aumento in tutto il mondo: può arrivare a interessare un bambino su cinque, per poi migliorare (spesso fino a scomparire) entro il periodo scolare, e un adulto su otto. «I sondaggi hanno messo in luce che il grande impatto della dermatite sulla quotidianità di chi ne soffre: insicurezza, sofferenza, stigma, insonnia e isolamento sociale sono solo alcuni dei problemi più diffusi – dice Valeria Corazza, presidente dell’Associazione Psoriasici Italiani e Amici della Fondazione Corazza -. Molti pazienti cercano di nasconderla in ogni modo ed evitano il contatto fisico con gli altri pur essendo consapevoli di non avere una patologia contagiosa».

Lesioni visibili e prurito

In gran parte è colpa del prurito, che non di rado è intenso e può arrivare ad alterare il sonno e la vita di relazione dei malati. Inoltre bisogna tener presente che si tratta di un disturbo dal quale non si guarisce mai del tutto. «E’ una malattia infiammatoria cronica – spiega Anna Belloni Fortina, responsabile della Dermatologia pediatrica all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova -: generalmente inizia durante l’infanzia (anche a pochi mesi di vita) e nella maggioranza dei casi si eclissa raggiunti i 10-12 anni. Ma può esordire anche nell’adulto, raramente nell’anziano. Una volta comparsa può durare mesi, più spesso anni, con fasi di miglioramento alternate a peggioramenti. La presenza di lesioni visibili a tutti e il prurito sono le principali cause delle gravi ripercussioni sulla qualità di vita». La pelle di chi ha questa patologia è secca e ruvida al tatto e, nella fase acuta, presenta chiazze di eczema (macchie rosse ricoperte di vescicole piene di liquido che possono poi evolvere in croste) in aree caratteristiche: principalmente cuoio capelluto, viso, collo, décolleté, pieghe di gomiti o ginocchia, mani e piedi. E si presentano facilmente irritazioni dopo stimoli come sudore, sfregamento, contatto con detersivi aggressivi.

Coronavirus: il delirio potrebbe essere il sintomo «chiave» del virus negli anziani fragili

Il delirio, o meglio la confusione mentale, potrebbe essere un sintomo caratteristico del Covid-19 negli anziani fragili. Indaga su questa possibilità uno studio del King’s College di Londra pubblicato su Age and Ageing che ha analizzato i dati di oltre 800 persone di età superiore ai 65 anni, inclusi 322 pazienti ricoverati in ospedale e altre 535 persone che utilizzavano l’ app Covid Symptom Study per registrare i propri sintomi.

Confusione mentale unico sintomo

I ricercatori hanno scoperto che gli anziani ricoverati in ospedale classificati come “fragili” avevano maggiori probabilità di avere avuto il delirio come uno dei sintomi, rispetto alle persone della stessa età non “fragili”. Per un paziente su cinque ricoverato in ospedale la confusione mentale era l’unico sintomo, anche senza febbre o tosse. E un terzo degli utenti della app che ha menzionato il delirio non ha avuto i classici sintomi di tosse o febbre. La “fragilità” è un termine medico che indica una condizione di precario equilibrio psicofisico in cui un evento normalmente di scarso rilievo provoca importanti cambiamenti dello stato di salute. Possono bastare l’aggiunta di un nuovo farmaco a quelli che un anziano sta già assumendo, uno stato influenzale o un piccolo intervento chirurgico, e inizia a manifestarsi un peggioramento generale delle condizioni di salute. È la descrizione medica di persone che hanno difficoltà a riprendersi da malattie e incidenti quotidiani. Hanno anche maggiori probabilità di cadere o finire in ospedale quando si ammalano.

Microcitoma polmonare e cancro al seno triplo-negativo, approvata cura che frena i tumori più aggressivi

Diminuisce il rischio di morte e aumenta la sopravvivenza per i pazienti che soffrono di due tumori particolarmente aggressivi: il microcitoma, o carcinoma polmonare a piccole cellule, e il cancro al seno triplo negativo. Grazie all’utilizzo di un nuovo farmaco immunoterapico, recentemente approvato anche in Italia, in combinazione con la chemioterapia, migliorano le opzioni di cura a disposizione contro queste neoplasie che si sviluppano rapidamente e che, quando arrivano in fase avanzata e metastatica, sono molto difficili da trattare.

Microcitoma, un nuovo standard di cura

Il microcitoma, o carcinoma polmonare a piccole cellule, rappresenta circa un quinto dei casi di cancro ai polmoni scoperti ogni anno: in Italia sono state circa 8mila le nuove diagnosi nel 2019. «È particolarmente aggressivo e si sviluppa rapidamente e nei due terzi dei pazienti la malattia è già estesa e metastatica quando il tumore viene scoperto — spiega Cesare Gridelli, direttore del Dipartimento di Onco-ematologia dell’Azienda Ospedaliera Moscati di Avellino —. Quindi la maggior parte delle volte non si riesce a intervenire a livello chirurgico e la patologia viene generalmente trattata con chemioterapia e radioterapia. Per la prima volta con atezolizumab in associazione a chemioterapia possiamo proporre al paziente un’immunoterapia che ha dimostrato di essere efficace in termini di aumento della sopravvivenza anche nel microcitoma. Dopo anni in cui l’unica opzione era rappresentata dalla chemioterapia, oggi questa combinazione è il nuovo standard di cura nella malattia estesa. Si tratta di un passo avanti molto significativo, tanto più che il microcitoma è stato sempre resistente alle varie terapie innovative che negli anni scorsi sono state  introdotte per altri tipi di cancro ai polmoni».

Un indice matematico per distinguere il microbioma intestinale sano da quello malato

Il microbioma, l’insieme dei batteri che colonizzano il nostro intestino, sembra influire moltissimo sulla salute e sul rischio di ammalarsi. Il microbioma modella e controlla, infatti, il sistema immunitario e alcune patologie sono da attribuire proprio alla perdita di questo equilibrio. Un esempio? L’appendicite acuta, dove i germi “cattivi” hanno il sopravvento. La seconda funzione riguarda la digestione: un microbioma sano assicura un corretto metabolismo dei cibi e la produzione di vitamine.

Perché alcune persone si ammalano

Esistono funzioni diverse a seconda dei tipi di colonie di batteri presenti, che quindi ci aiutano o ci danneggiano: cosa fa sì che alcune persone sviluppino malattie croniche come l’artrite reumatoide, il cancro e la sindrome metabolica mentre altre rimangono in salute? Un indizio importante potrebbe essere trovato proprio nel loro microbioma intestinale. I ricercatori della Mayo Clinic (Usa) hanno sviluppato un indice matematico per distinguere un microbioma intestinale “sano”, benefico, da uno “malato”, quindi “cattivo”. In un nuovo studio pubblicato a settembre su Nature Communications, i ricercatori spiegano come il loro indice, composto da una formula matematica interpretabile biologicamente, possa rivelare la probabilità di avere una malattia indipendentemente dalla diagnosi clinica, ricavando un profilo del microbioma intestinale dal campione di feci di una persona.

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